Roma, 20 set. (LaPresse) – In difesa e in attacco, calmo, ma a tratti affaticato e provato. Nomi, cifre, contabilità e spiegazioni: tante. L’interrogatorio di Franco Fiorito, l’ex capogruppo della regione Lazio indagato per peculato sui fondi al Pdl, è stato lungo e dettagliato e ha aperto nuove porte allargando l’inchiesta. I magistrati romani che cercando di far luce sulla gestione e ripartizione dei fondi pubblici ai gruppi consiliari, e che, dopo le parole di Fiorito pongono la loro attenzione su una decina di persone, lo hanno messo davanti alle sue presunte responsabilità. E lui, Fiorito ha da subito negato ogni addebito di illecito, spiegato la provenienza dei soldi con i quali ha pagato e sta pagando ville al mare e attici in città, ma soprattutto si è presentato nella caserma della guardia di finanza sulla Collatina, a Roma, con due scatoloni pieni di carte. Una sorta di database contabile di tutto il gruppo: sulle carte di questi sedici consiglieri (fatture, ricevute e mail), l’ex capogruppo del Pdl della Pisana, ha chiesto ai magistrati di indagare.
La maggior parte dei documenti, stando a quanto si apprende, sarebbero prove per operazioni inesistenti. “Anomalie contabili”, sono state definite da Fiorito, e i nomi dei consiglieri sono: Stefano Galletto, Giancarlo Miele, Carlo de Romanis, Andrea Bernaudo, Lidia Nobili e Francesco Battistoni, che oggi è andato in via dell’Umiltà a rimettere il suo mandato davanti ad Angelino Alfano. A proposito di Battistoni, Fiorito, ha sottolineato di ritenerlo uno dei componenti della fronda organizzata per estrometterlo da capogruppo.
Ma dei suoi colleghi l’ex sindaco di Anagni ha parlato ai pm anche in altri termini: “Si era perso il senso della misura – ha detto – ormai non si faceva più politica e ormai i consiglieri erano anche in lotta tra di loro per ottenere il denaro”. Poi Fiorito ha anche spiegato ai magistrati come funzionava il sistema di gestione e spartizione dei fondi. Centomila euro l’anno a ciascun consigliere per finalità politiche e in più un accordo interno al Pdl che raddoppiava o triplicava l’assegnazione a seconda degli incarichi ricoperti. Del sistema, ovviamente, erano tutti al corrente, compresa il presidente della Regione, Renata Polverini che “non poteva non sapere, trattandosi di una decisione di cui la giunta prendeva atto”.
E poi ancora soldi: esattamente 17 milioni l’anno, che è la cifra che viene assegnata ogni anno al consiglio regionale. Fiorito ai magistrati ha riferito che questa somma veniva suddivisa per i vari gruppi consiliari attraverso un ‘patto’. L’ex sindaco di Anagni parla anche ovviamente dei fondi destinati a lui: 300mila euro, frutto della somma delle sue cariche, come capogruppo del Pdl e presidente della commissione Bilancio. “Tutte rendicontate”, ha precisato. Da stamattina i magistrati sono quindi alle prese con questa mole di documenti. In procura bocche cucite ma per ora, un’unica grande convinzione: il finanziamento ai partiti e ai gruppi consiliari della Regione Lazio era basato su una “gestione caotica” e su un “sistema senza controllo”.
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