Studio sui network più noti ha coinvolto 330 milioni di utenti, aumenta anche l'eco-ansia

Perché le persone non agiscono in modo più concreto di più di fronte al problema dei cambiamenti climatici? La risposta è nei social media: ed è essenzialmente colpa del greenwashing. Secondo lo studio ‘Social intelligence for climate action’ – messo a punto da Dassault systèmes, Capgemini, e Bloom – “l’ostacolo più significativo che emerge da questa analisi è lo scetticismo dei consumatori generato dal greenwashing“, cui si aggiunge “anche un aumento dell’ansia derivante dalla crisi climatica e della frustrazione per la mancanza di informazioni affidabili e pertinenti che guidino l’azione per il clima”. Obiettivo dello studio congiunto è di comprendere meglio gli ostacoli all’azione per il clima e come le persone possano superarli per limitare l’impatto del riscaldamento globale. Quindi Bloom – una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale dedicata all’analisi dei social network – ha analizzato le “conversazioni globali sul clima“, e in particolare quelle riguardanti gli impedimenti all’azione per il clima, utilizzando una matrice di riferimento sull’argomento.

In 8 mesi, “più di 330 milioni di persone si sono espresse sul tema con vigore e passione. Se lo scetticismo climatico è ormai marginale (anche se genera un’eco sproporzionata, soprattutto negli Stati Uniti), imperversa il dibattito sul modo migliore per affrontare il problema, in un anno segnato dall’aggravarsi delle perturbazioni climatiche, con drammatiche conseguenze umane”.

Le principali barriere, l’effetto ‘colibrì’ non basta più

Tra le principali barriere all’azione per il clima che emergono dallo studio del 2022, “ottimismo discontinuo” di aziende e istituzioni sui loro progressi ambientali. Poiché – viene spiegato – “l’impatto reale di questi progressi è spesso difficile da cogliere, un’eccessiva comunicazione positiva e opportunistica, a volte in contraddizione con le analisi degli esperti (in tal caso si può parlare di greenwashing), crea una dissonanza che genera sfiducia e scoraggia l’azione. I consumatori, soprattutto quelli più giovani, sono diventati più maturi su questi temi e sono ora molto sensibili”. Mancanza di informazioni affidabili sulle soluzioni: i cittadini, alla ricerca di “informazioni attendibili“, sono paralizzati da informazioni contraddittorie o errate. Nel corso del 2022, si è registrato un aumento del numero di post e del tasso di engagement su questo aspetto, caratterizzato da forti sentimenti negativi. Paura degli impatti sociali negativi delle misure climatiche: la giustizia sociale è al centro della discussione sul clima. In un anno segnato dall’inflazione, “il costo della vita sta diventando sempre più un problema nel dibattito sui drastici cambiamenti di stile di vita necessari per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. I cittadini sono preoccupati che le popolazioni più vulnerabili dal punto di vista economico non siano le prime vittime”. C’è poi la delega di autorità, cioè ritenere che l’azione per il clima sia responsabilità di altri piuttosto che propria (i consumatori ritengono che l’effetto “colibrì” delle azioni individuali non sia più sufficiente di fronte alla portata dell’urgenza climatica e che le imprese, percepite come responsabili di una parte del problema, abbiano più capacità di avere un impatto più rapido e su larga scala).
E c’è anche la disperazione da cambiamento climatico: le persone si sentono scoraggiate (questa barriera ha il più alto livello di engagement e la più alta percentuale di sentimenti negativi associati).

Scienza e dialogo, quello che serve

“Nella lotta al cambiamento climatico – afferma Philippine de T’Serclaes, Chief Sustainability Officer di Dassault Systèmes – due elementi faranno la differenza: dati scientifici e accurati e collaborazione e dialogo tra tutte le parti interessate. Per avere successo nelle transizioni del XXI secolo, dovremo mantenere e rafforzare il legame tra scienza, cittadini, aziende e istituzioni pubbliche”. Secondo Cyril Garcia, responsabile dei servizi di sostenibilità globale e della responsabilità d’impresa di Capgemini e membro del comitato esecutivo del Gruppo, “le imprese sono in prima linea non solo per adeguare i loro modelli business verso un’economia più sostenibile, ma anche per essere più chiare e trasparenti sull’impatto delle loro azioni. La sfida per loro sarà ora quella di lavorare a più stretto contatto con i loro partner e clienti per ripristinare la credibilità e la fiducia, guidando tutte le parti coinvolte verso un’economia a basse emissioni di carbonio”.
“Il percorso dello sviluppo sostenibile non è immune dall’aumento della disinformazione e dell’influenza – rileva Bruno Breton, fondatore e Ceo di Bloom – l’assenza di punti di riferimento forti porta a dubbi, sospetti e scoraggiamento di fronte agli impegni di aziende o governi. È fondamentale che i brand sviluppino una nuova narrazione, più militante”.

Analisi su 330 milioni di persone

Per lo studio Bloom ha analizzato i contenuti postati in inglese da privati e aziende sui social media (twitter ora X, Facebook, Instagram, YouTube, TikTok) tra febbraio e ottobre 2022, che rappresentano più di 330 milioni di attori, 14 milioni di documenti (post e commenti) e 480 milioni di espressioni di engagement (tipo ‘mi piace’).

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata