Islam Masood, che viveva a Jabalia, nel nord di Gaza, si trova in Egitto: è riuscito a uscire pochi giorni dopo lo scoppio del confiltto poiché aveva un permesso per seguire una conferenza internazionale

Il sistema sanitario era già in difficoltà a Gaza. Ci sono migliaia di persone sfollate, quando metti migliaia persone in ospedali, scuole, senza livelli sanitari adeguati e senza acqua, senza cibo, cosa ti aspetti? Che possano esserci delle malattie mortali che si sviluppano, probabilmente questo accadrà“. A dirlo a LaPresse è Islam Masood, studente di medicina all’ultimo anno a Gaza, che è riuscito a uscire dalla Striscia al terzo giorno di assedio, poiché aveva già un permesso per andare a una conferenza internazionale. Viveva a Jabalia, nel Nord di Gaza, una delle zone che sono state evacuate su ordine di Israele. “Sono stato fortunato: mio padre mi ha detto vai, questa non è una guerra come le altre, potremmo morire. Così almeno uno di noi sarà salvo”, spiega ancora. Il 23enne è all’ultimo anno di Medicina “ma non so se e quando potrò finire, la mia università è stata distrutta”, racconta ancora a LaPresse. Al momento si trova in Egitto ospite di amici: “Sono uscito dal valico di Rafah, poco dopo è stato bombardato e da allora nessuno è più passato”, conclude.

“L’aspetto più deumanizzante è che siamo obbligati a mostrare i nostri bambini morti per provare che stiamo soffrendo. Usiamo i social, ma molti account sono silenziati, non si riescono a vedere all’estero”, aggiunge. Al momento si trova in Egitto: “La mia famiglia continua a ripetermi che manca acqua, hanno sete, non c’è acqua“, aggiunge. “I miei colleghi hanno lavorato anche 20 giorni di fila ora, a Gaza, senza sosta. Lavorano senza avere gli attrezzi e le medicine, manca tutto, operano senza anestesia anche senza luce a volte. La situazione è catastrofica e hanno già dato l’allarme che entro poche ore non ci sarà più carburante” spiega ancora. “Da Gaza normalmente non puoi decidere di uscire. Devi chiedere un permesso molto tempo prima, io sono stato fortunato perché il permesso lo avevo avuto prima della guerra” racconta ancora. “Non riesco quasi mai a contattare la mia famiglia rimasta a Gaza – dice – Oggi mia sorella mia ha detto che sono vivi. Si sono spostati già due volte”.

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