Mosca frena l'offensiva di Ankara dispiegando i suoi soldati. Il presidente turco ribadsice che non ha intenzione di fermarsi
Mentre le forze curde nel nord della Siria oppongono una strenua resistenza alla Turchia, Vladimir Putin frena l'offensiva di Ankara, garantendo che impedirà scontri fra militari turchi e siriani dispiegando alcuni suoi soldati a pattugliare la zona di contatto. "Penso non solo che gli scontri turco-siriani non siano nell'interesse di nessuno, ma anche che sarebbero inaccettabili. Per questo, beninteso, non lasceremo che le cose arrivino a questo punto", ha avvertito l'inviato speciale di Putin, Alexandre Lavrentiev, parlando ad Abu Dhabi.
Recep Tayyip Erdogan, però, va dritto per la sua strada, anche dopo l'annuncio delle sanzioni di Donald Trump a tre suoi ministri: l'offensiva turca proseguirà "fino al raggiungimento dell'obiettivo", ha chiarito in un intervento sul Wall Street Journal, tornando a brandire 'l'arma' dei migranti: "Il mondo si unisca a noi o cominci a prendere i rifugiati". Poi, tramite il portavoce della presidenza, ribadisce che andrà avanti con o senza l'appoggio del mondo e denuncia quello che definisce "l'accordo sporco" dei curdi con il regime di Bashar Assad per fermare l'offensiva turca.
Ankara ha lanciato l'attacco il 9 ottobre per allontanare dalla sua frontiera la milizia curda siriana delle Unità di protezione del popolo (Ypg), aprendo così un nuovo fronte nella complessa guerra siriana che dal 2011 ha fatto oltre 370mila morti. La Turchia ha lanciato l'offensiva dopo che i soldati Usa, dispiegati per aiutare i curdi contro l'Isis, hanno ricevuto l'ordine di lasciare l'area. Sentendosi abbandonati e traditi, i curdi domenica hanno chiesto l'aiuto di Assad, sostenuto militarmente sul terreno da Russia e Iran.
L'offensiva turca ha scatenato un'ondata di indignazione internazionale e il Consiglio di sicurezza dell'Onu tornerà a riunirsi mercoledì, su richiesta dei membri europei. Mentre il vice presidente Usa Mike Pence, su richiesta di Donald Trump, partirà per la Turchia nelle prossime 24 ore nel tentativo di fare pressing su Ankara per ottenere un cessate il fuoco. L'obiettivo che Erdogan vuole raggiungere è la creazione di una "zona di sicurezza" di 32 chilometri di profondità e della lunghezza della sua frontiera, dove intende rimpatriare milioni di rifugiati siriani attualmente in Turchia: "Rapidamente metteremo in sicurezza la regione che va da Manbij fino alla nostra frontiera con l'Iraq", ha affermato il presidente turco sul Wall Street Journal, spiegando che questa zona dovrebbe accogliere "in un primo tempo un milione, poi due milioni di rifugiati siriani" degli oltre 3,5 milioni che hanno trovato rifugio in Turchia dall'inizio del conflitto in Siria nel 2011.
Su richiesta dei curdi, le forze di Damasco sono state dispiegate da lunedì in alcune zone del nord, in particolare a Manbij: la Russia ha annunciato che Assad ne ha preso ora il totale controllo, notizia confermata dalla coalizione anti Isis a guida Usa, che ha fatto sapere di essersi ritirata. Una città chiave resta da conquistare: Ras Al-Ain. È qui che si concentrano i combattimenti più violenti: per difenderla le Forze democratiche siriane (Sdf), alleanza dominata dall'Ypg curdo, usano tunnel sotterranei e trincee.
In questo contesto di grande instabilità le autorità curde hanno lanciato l'allarme per lo stop delle attività di tutte le ong internazionali e per il ritiro dei loro staff dalla regione, dove si trovano numerosi campi che accolgono migliaia di sfollati. Anche Medici senza frontiere (Msf) ha annunciato di avere preso "la difficile decisione di sospendere la maggioranza delle sue attività" nel nordest della Siria "e di evacuare lo staff internazionale dalla regione" a causa della "elevata instabilità".
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