La Corte suprema dovrà ora riesaminare il caso dell'accademico accusato di spionaggio

La Corte suprema iraniana sta rivedendo la condanna a morte nei confronti di Ahmadreza Djalali, accademico di origine iraniana, residente in Svezia e ricercatore dell'Università del Piemonte orientale, accusato di spionaggio. Lo ha riferito il Center for human rights in Iran, con una nota pubblicata online. Il giudice ha chiesto al vice procuratore di presentare il suo parere a febbraio 2018. "Il caso del mio cliente viene attualmente studiato da un vice procuratore a Teheran", ha affermato Zeinab Taheri, membro del team di legali che si occupano della difesa di Djalali. "Hanno sollevato obiezioni al caso simili alle stesse obiezioni di Djalali", ha spiegato. "Sulla base dei problemi con questo caso e delle lettere scritte ai parlamentari, speriamo che la condanna sia ribaltata", ha aggiunto l'avvocato.

Il legale ha anche sottolineato che Djalali ha bisogno di cure mediche per un sospetto tumore all'apparato digerente, ma i giudici hanno respinto le richieste che gli sia consentito di uscire dal carcere per questo. L'accademico ha con forza negato di aver collaborato con qualsiasi agenzia d'intelligence e ha affermato di essere stato incarcerato per aver rifiutato di condurre attività di spionaggio per Teheran, ha riferito l'organizzazione. Arrestato nell'aprile 2016 mentre viaggiava dalla Svezia all'Iran dove era stato invitato dall'università di Teheran, è stato condannato a morte per "collaborazione con governo nemico", in particolare con Israele allo scopo di uccidere scienziati iraniani, da un Tribunale rivoluzionario a Teheran nell'ottobre 2017. Il 5 dicembre 2017 la Corte suprema ha confermato la sentenza.

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