L'obiettivo della visita "incoraggiare la pace e la convivenza fraterna come l'unica via da percorrere"

"Il futuro del Myanmar dev'essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo – nessuno escluso – di offrire il suo legittimo contributo al bene comune". Al suo secondo giorno in Myanmar, Papa Francesco non nomina direttamente – come aveva chiesto la comunità cattolica locale – la parola Rohingya, ma il concetto c'è: la pace passa necessariamente dal rispetto di tutti. Compreso quello per la piccola comunità musulmana perseguitata da anni, sempre più ferocemente.

Sul palco, durante il discorso alle autorità, c'è Aung San Suu Kyi, consigliera di Stato (ma di fatto presidente), che ha prima incontrato a porte chiuse. Non governa da sola, condivide il potere con i militari che hanno guidato l'ex Birmania per decenni e che ieri hanno messo in scena una prova di forza: il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, ha chiesto e ottenuto, fuori programma, di anticipare l'incontro con il Pontefice per essere il primo leader a incontrarlo (al posto del presidente), con uno strappo al protocollo. Aung Hlaing, poi, non si è presentato da solo, ma accompagnato da altri quattro generali, vertice della nomenclatura militare.

Anche Aung San Suu Kyi, nel suo discorso pubblico, non nomina i Rohingya, non riconosciuti nel Paese e considerati "benagalesi" irregolari, ma affronta la questione parlando dello Stato di Rakhine, regione del Myanmar dalla quale sono stati espulsi: "Tra le tante sfide che il nostro governo ha dovuto affrontare – afferma -, la situazione nel Rakhine ha catturato più fortemente l’attenzione del mondo". Bergoglio e Aung San Suu Kyi si erano già incontrati in Vaticano il 4 maggio, quando la Santa Sede aveva annunciato l'avvio delle relazioni diplomatiche con Yangon.

LA SCHEDA Il programma del viaggio di papa Francesco in Myanmar e Bangladesh

"Vorrei che la mia visita – dice oggi il Papa alle autorità civili – potesse abbracciare l'intera popolazione del Myanmar e offrire una parola di incoraggiamento a tutti coloro che stanno lavorando per costruire un ordine sociale giusto, riconciliato e inclusivo". Il popolo, sottolinea, ha "molto sofferto e tuttora soffre", per i conflitti interni e le ostilità "durati troppo a lungo" e che hanno creato "profonde divisioni". E poiché la nazione è impegnata per ripristinare la pace, "la guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale", aggiunge apprezzando gli "sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida". E ricordando la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresentanti dei vari gruppi nel tentativo di porre fine alla violenza, ribadisce: "l’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani".

 

 

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