dal nostro inviato Fabio De Ponte
Bruxelles (Belgio), 30 nov. (LaPresse) – “E’ vietato consumare stupefacenti in questo stabile“. Il cartello è appeso su una colonna al centro del locale. Dietro il bancone, sui ripiani di vetro, qualche tazza e qualche narghilè. Alla parete un grande televisore sintonizzato sul Al Jazeera: nel café Diaa si parla solo arabo. Il locale si trova proprio dove ieri sera la polizia di Bruxelles ha compiuto un blitz in un edificio abbandonato alla ricerca di Salah Abdelsalam, l’ultimo degli attentatori di Parigi, ancora in fuga, senza trovare niente.
Siamo nel quartiere di Beekkant, a Molenbeek, proprio all’angolo tra rue de l’Independance e rue de la Carpine. Un gruppo di quattro o cinque giovani entra ed esce da una sala interna. La porta viene chiusa a ogni passaggio. Da uno spiraglio si intravede un ambiente scuro, dominato da una luce blu. L’uomo al banco parla solo arabo, per avere un caffè ci si capisce a gesti. Appena lasciato il locale, un giovane ci rincorre. Pretende la cancellazione della foto del cartello. “Un turista?”, chiede con sospetto. “Qui le foto non sono permesse”.
IL CAFE’ AL JAZEERA – Dall’altro lato dell’incrocio, proprio dirimpetto al Diaa, c’è un grande stabile dei servizi sociali che ospita una biblioteca. Sulla parete è appeso un enorme cartello “Vendesi”. Poche centinaia di metri più in là, il cafè Al Jazeera. Due passanti su tre hanno un aspetto arabo. Quasi tutte le donne indossano il velo.
“QUI NON SAI MAI CHI E’ CHI” – In fondo alla strada ci sono i servizi sociali. Al secondo piano di uno stabile, dentro una anonima porta tagliafuoco, si trova un ufficio molto accogliente. E’ un continuo viavai di persone, per lo più donne di colore. Attività per i bambini, sostegno alle famiglie, corsi di lingue, formazione per l’avvio al lavoro. “Sono trent’anni che abito qui – racconta un uomo di origine maghrebina -, ma me ne voglio andare. Sta diventando sempre peggio”. C’è violenza? “Non è che ci sia violenza – spiega -, ma qui non sai mai chi è chi. Va bene se uno ci affitta un posto per dormire, ma non va bene per viverci”.
“GIUSTO CHE POLIZIA INTERVENGA” – Meno pessimista il verduriere all’angolo. Il suo negozio dà su una piazzetta in rue de l’Independence. “Abitiamo qui vicino, siamo qui da 14 anni”, dice girandosi verso la moglie. Lui ha la barba, lei indossa il velo.
“Veniamo dal Marocco. E’ giusto che facciano le operazioni di polizia. E’ per la sicurezza. Molenbeek è come tutti gli altri posti del Belgio, chi non rispetta le regole va punito”. Da Omar, una macelleria poco più in là, il titolare scrolla le spalle. “La polizia? So che stanno facendo delle operazioni qui vicino, ma non so molto”.
STAZIONE DELLA METRO BLINDATA – La stazione della metro è presidiata dai militari. Un mezzo blindato alto due metri, accanto al quale sono parcheggiati quattro furgoni della polizia. I militari controllano gli ingressi. Bloccano l’accesso a un passaggio sopraelevato che permette di superare la ferrovia. Beekkant si estende ai due lati di questa linea. Sul lato opposto al Diaa, si trovano enormi palazzi grigi, casermoni da Unione sovietica. Sui citofoni una giungla di cartoncini appiccicati con i nastri adesivi.
IL CONFINE – Una zona che finisce bruscamente, per lasciare il posto a un colorato quartiere fatto di tradizionali case in mattoni. Il confine è rue de la Melodie. Da un lato della strada costruzioni in cemento, con le inferriate alle finestre. Dal lato opposto, graziose abitazioni in mattoni rossi, con i vasi sui davanzali. Due mondi si specchiano. All’incrocio con rue de l’Accord, cioè proprio all’intersezione tra una via intitolata alla melodia e l’altra all’accordo, si trova un palazzo completamente grigio, con il tetto piatto e le finestre squadrate, che improvvisamente si trasforma e diventa di mattoni, col tetto a spiovente, e una finestra che si affaccia dalla mansarda. Il mondo ha due facce nel cuore dell’Europa.
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