di Giampiero Gramaglia
Roma, 14 nov. (LaPresse) – Il nodo da sciogliere, il primo, è la Siria: ne sono convinti analisti e diplomatici e ne sono consapevoli i ministri degli Esteri riuniti oggi a Vienna e i leader che s’incontreranno, domani e lunedì, ad Antalya, per un Vertice del G20 ‘orfano’ della Francia, perché il presidente François Hollande resterà in una Parigi ferita, turbata e listata a lutto. Senza una chiarezza condivisa sul futuro della Siria, la macchia del terrorismo continuerà ad allargarsi, dall’Afghanistan al Nord Africa, assumendo, di volta in volta, i colori della lotta di liberazione o etnica o tribale o religiosa.
E i nuovi protagonisti nel conflitto siriano, la Francia, schierata con la coalizione occidentale, come pure, un po’ più ambiguamente, la Turchia, e la Russia e l’Iran, dalla parte, invece, del regime di al-Assad, ma comunque e sempre contro il Califfo, hanno aumentato la confusione, senza avvicinare la soluzione. Anzi, l’aereo russo caduto sul Sinai, gli attacchi kamikaze a un quartiere Hezbollah a Beirut e le stragi della notte di venerdì a Parigi sono il segno che, dietro le azioni, c’è un disegno punitivo dei ‘nemici’ e quanto meno un coordinamento degli attacchi.
Perché la soluzione s’avvicini ci vuole un’intesa tra Russia e Usa, tra Putin e Obama: i due debbono tracciare un percorso che restituisca stabilità al Paese in una prospettiva di superamento del regime di al-Assad, uscendo dal caos attuale che giova solo al Califfo e penalizza solo la popolazione civile, in fuga dal terrore, ma anche dalle bombe dei raid.
O è possibile restituire alla Siria, e successivamente all’Iraq, una statualità credibile e accettata dalla popolazione, o si accetta il dato di fatto che i confini della Regione vecchi di un secolo e frutto dei calcoli delle superpotenze di allora, Gran Bretagna e Francia, e non della storia né della tradizione né delle distribuzioni etniche e religiose, sono cambiati e che un grande Stato sunnita integralista s’è installato a cavallo della fittizia frontiera tra Siria e Iraq, lasciandosi a sud l’Iraq sciita, a nord est un potenziale Kurdistan – ma Turchia e Iran non ne vogliono sentire parlare – e a nord est una striscia di Siria sciita contigua al Libano.
Un assetto di per sé comunque non rassicurante, perché potenzialmente instabile per il conflitto sciiti – sunniti, cioè teocrazia iraniana contro Califfato integralista.
Non c’è neppure da farsi illusioni che, sciolto il nodo Siria, la situazione nella regione si rassereni rapidamente e che la minaccia integralista a casa nostra evapori. Non sarà così: i danni provocati dall’invasione dell’Iraq e, dieci anni dopo, dall’incapacità di prevedere e leggere le Primavere arabe sono troppo estesi perché sanare la Siria li risolva tutti. E l’unica arma efficace che esiste contro l’insoddisfazione, l’ostilità e la voglia di rivalsa di una parte del mondo sull’altra, cioè lo sviluppo, ci mette anni a essere efficace.
La ‘Lunga Guerra’, come gli Stati Uniti chiamarono, dopo l’11 settembre 2001, la Guerra al Terrorismo, dura da 15 anni e ancora non se ne intravvede la fine.
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