Di Chiara Battaglia
Torino, 18 nov. (LaPresse) – A meno di un mese dalle elezioni legislative con cui è stato eletto il primo Parlamento dopo la caduta di Ben Ali, il 23 novembre la Tunisia andrà di nuovo alle urne per le prime elezioni presidenziali a suffragio diretto dopo la rivoluzione. La formazione del nuovo governo si vedrà dopo l’esito delle presidenziali ma sulle possibili alleanze regna ancora l’incertezza: i partiti più votati sono stati Nidaa Tounes (che ha ottenuto 85 seggi) ed Ennahda (che ne ha ottenuti 69), ma il primo ha sempre sostenuto che non avrebbe mai formato una coalizione con il secondo. Chiara Sebastiani, insegnante di Teoria della sfera pubblica e politiche locali e urbane all’università di Bologna e autrice del libro ‘Una città una rivoluzione. Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico’, spiega che al di là di tutto per la Tunisia è un successo. ‘La Tunisia è passata con sorprendente rapidità a un pluralismo partitico ben articolato’, afferma. ‘Mi è sembrato un miracolo che si sia tornati a votare in modo democratico per la seconda volta nel giro di tre anni, in una regione in cui succede quello che succede’, spiega l’autrice riferendosi per esempio alla situazione in Libia. Ma ‘il vero problema è che bisognerà attuare misure di austerità che si dovevano già introdurre in questi tre anni’, spiega ancora Sebastiani. A suo parere gli scenari che si prospettano sono tre. In primo luogo non è da escludere un’alleanza di Nidaa Tounes con Ennahda perché, al di là delle dichiarazioni ufficiali del leader di Nidaa Tounes, Beji Caid Essebsi, ciò che serve a governare sono i numeri in Parlamento e i 69 seggi di Ennahda non si possono trascurare. La seconda ipotesi è una coalizione di Nidaa Tounes con partiti più piccoli, escludendo Ennahda. Ma ultimamente, spiega Sebastiani, si sta facendo strada un terzo scenario possibile: un governo di Nidaa Tounes senza Ennahda, ma in cui le decisioni principali vengano demandate al Quartetto di concertazione per il dialogo nazionale (composto da Lega tunisina per i diritti dell’uomo, sindacato Ugtt, rappresentanti dei partiti politici e ordine degli avvocati), lo stesso Quartetto che risolse la crisi politica dopo gli omicidi di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi.
LEI ERA A TUNISI DURANTE LE ELEZIONI, C’È QUALCOSA CHE L’HA COLPITA? Sì, rispetto al grande entusiasmo del 2011, quando le elezioni si tennero subito dopo la rivoluzione, questa volta chi andava a votare lo faceva in modo molto più tranquillo, senza più la spinta di allora. Queste sono le elezioni a seguito dell’instaurazione di una democrazia normale. Ai seggi si notava che le astensioni erano cresciute e non c’erano più le lunghe file ai seggi del 2011.
COSA PUÒ CAMBIARE VISTO CHE SIA NIDAA TOUNES CHE ENNAHDA SONO PARTITI DI DESTRA? PUÒ DESCRIVERE LE CARATTERISTICHE DEI DUE PARTITI? Cosa potrà cambiare veramente dipenderà da quali alleanze si faranno. Ma nell’approccio che noi abbiamo alla politica tunisina bisogna cambiare la geografia politica, perché le nostre categorie di destra e sinistra poco si adattano al contesto della Tunisia. Le categorie da tenere in considerazione per analizzare il panorama politico tunisino sono invece, per esempio, economia e religione. NIDAA TOUNES ha raccolto membri dell’Rcd (il partito di Ben Ali ‘Rassemblement constitutionnel democratique’ ndr.) ma anche persone che prima appartenevano alla sinistra del Fronte laico modernista. Si tratta di un partito economicamente fortemente statalista, che crede nell’intervento dello Stato in economia. Bisogna anche precisare, dal punto di vista religioso, che non è un partito laico ma secolarista. A sottolinearlo, in un’intervista rilasciata circa un mese prima delle elezioni, è stato l’ex leader del sindacato Ugtt, Taïeb Baccouche. Lui non ha spiegato la distinzione fra i due termini, però per laico si intende qualcuno che non riconosce spazio alla religione, e nessun tunisino sarebbe disponibile ad accettare questo. ENNAHDA in economia ha due posizioni: da una parte è liberista, dall’altra crede nell’economia sociale, dando molta importanza alle associazioni sul territorio. E poi punta sugli investimenti stranieri e sul diminuire l’indebitamento valorizzando le risorse locali, per far calare la dipendenza da Fondo monetario internazionale e Banca mondiale. Quanto all’aspetto religioso, il problema di Ennahda è che i suoi esponenti si presentano come unici buoni musulmani, mentre da parte dei tunisini si sente dire sempre più spesso: ‘Siamo tutti buoni musulmani’.
NON PENSA CHE NIDAA TOUNES SIA TROPPO ETEROGENEO PER POTERE GOVERNARE SENZA SPACCARSI? Non credo che i problemi maggiori siano fra le diverse anime di Nidaa Tounes. In realtà chi ha aderito a Nidaa si riconosce in alcuni punti, cioè principalmente la cultura ereditata da Habib Bourguiba, che è illuminista, la promozione dei diritti delle donne e un’immagine delle donne più occidentale, e l’importanza dell’istruzione. Da Nidaa Tounes ci si aspettano politiche pubbliche con un grande rilievo dato allo Stato, la valorizzazione della pubblica amministrazione e il no alle privatizzazioni. Il vero problema è che bisognerà attuare misure di austerità, che si dovevano già fare in questi tre anni, e attuare le misure di austerità richiede grande consenso. Per questo sarà importante il ruolo che giocherà il sindacato Ugtt.
CHE SCENARI DI GOVERNO SI PROSPETTANO? Nonostante Nidaa Tounes abbia detto più volte che non vuole allearsi con Ennahda, nessuno in Tunisia pensa che le dichiarazioni di Essebsi bastino a escludere realmente un’alleanza con Ennahda. Afek Tounes sarebbe molto affine a Nidaa mentre il partito Upl populista, il cui leader Slim Riahi viene soprannominato il Berlusconi tunisino, da alcuni è dato vicino a Nidaa mentre da altri a Ennahda. Il Fronte popolare sarebbe disponibile ad andare al governo con Nidaa, ma non con Ennahda. Riassumendo le ipotesi principali sono due, ma si sta profilando man mano anche una terza via. 1) Alleanza Nidaa Tounes-Ennahda. 2) Alleanza Nidaa Tounes con partiti minori, tutti piccoli, escludendo Ennahda. 3) E la terza via che si va profilando è quella del prevalere del Dialogo nazionale con il cosiddetto Quartetto di concertazione attivato dopo gli omicidi di Belaid e Brahmi. In pratica in questo caso ci sarebbe un governo di Nidaa Tounes senza Ennahda, ma le decisioni più importanti verrebbero demandate al Quartetto. Per fare questo, però, dovrebbe esserci un accordo politico altrimenti in mancanza di un accordo politico potrebbero anche essere sollevate delle obiezioni costituzionali. Su questa ipotesi di istituzionalizzare il Quartetto pare siano d’accordo sia il Fronte nazionale che Ennahda.
CHI SONO I MEMBRI DEL QUARTETTO PER IL DIALOGO NAZIONALE? Il cosiddetto Quartetto è composto da Lega tunisina per i diritti dell’uomo, sindacato Ugtt, rappresentanti dei partiti politici e ordine degli avvocati. La composizione del Quartetto dimostra che in Tunisia c’è un sistema corporativo. D’altra parte i partiti sono una scoperta nuova.
QUANDO È NATO IL QUARTETTO? Questa forma di concertazione quadrilaterale è stata istituita dopo l’omicidio di Mohamed Brahmi. Allora, per protestare contro l’omicidio e contro il governo ritenuto responsabile di una enorme falla nella sicurezza, alcuni deputati si ritirarono dall’Assemblea costituente. E in quella situazione di stallo l’allora presidente del Parlamento, Mustapha Ben Jafaar, decise di non ricorrere al meccanismo che prevedeva la sostituzione dei deputati ritirati, ma fece entrare in scena il Quartetto, incaricato di risolvere l’impasse. In quella concertazione, che si svolse a lato del governo e a lato anche dell’Assemblea costituente, fu concordata una roadmap che prevedeva le seguenti cose: i deputati accettavano di rientrare per terminare la stesura della Costituzione e successivamente il governo si sarebbe dimesso a vantaggio di un esecutivo tecnico. Si arrivò così alle elezioni del 2014 e il quartetto ha continuato a giocare un ruolo anche recentemente. Dal momento che l’Assemblea costituente ha stabilito che le presidenziali si sarebbero tenute dopo le legislative (per le legislative si è votato il 26 ottobre e per le presidenziali si vota il 23 novembre ndr.), si è posto il problema di quale presidente avrebbe dovuto nominare il nuovo governo: il presidente uscente Marzouki oppure quello che sarebbe stato eletto dopo? I costituzionalisti si sono spaccati su questa questione e a decidere è stato il Quartetto, che ha stabilito che la nomina spetterà al nuovo presidente.
FERME RESTANDO LE TRE IPOTESI DI ALLEANZE DI GOVERNO, CHI SONO I PREMIER POSSIBILI? E COSA BISOGNA ASPETTARSI DALLE PRESIDENZIALI? Ci sono due ipotesi: la prima è che, dopo le presidenziali, si decida che Essebsi faccia il premier e non il presidente; se invece Essebsi vincerà le presidenziali e farà il presidente, non si sa chi farà il premier. Attualmente chi ha votato Nidaa Tounes lo ha fatto o come voto utile o proprio per la leadership di Essebsi. Dietro di lui per ora non c’è quasi nessuno di conosciuto e l’unico nome che è stato fatto come ipotetico premier è l’ex segretario dell’Ugtt Taïeb Baccouche, anche se finora non c’è niente di concreto. Alle presidenziali Essebsi rischia di avere un plebiscito anche al primo turno, a meno che non si crei una forte coalizione contro di lui. Se però anche alle presidenziali si affermerà Nidaa Tounes, a seconda del governo che si formerà c’è il rischio di una forte concentrazione dei poteri nelle mani di un partito.
SI ASPETTAVA UN RISULTATO COSÌ ALTO DEL FRONTE POPOLARE, CHE È IL 4° PARTITO CON 15 SEGGI? Non me l’aspettavo. Il punto è che mentre prima Hamma Hammami (leader del Fronte popolare e candidato alla presidenza ndr.) si presentava da solo con il partito marxista-leninista, adesso sono confluiti nel Fronte popolare i partiti di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. Belaid era a capo di un piccolo partito che aveva all’Assemblea costituente un deputato (il Partito unificato dei patrioti democratici ndr.), mentre Brahmi di un movimento nazionalista con due deputati (il Movimento del popolo ndr.) alle cui manifestazioni i sostenitori vanno con i ritratti di Nasser (presidente dell’Egitto dal 1956 al 1970 ndr.), insomma un partito non proprio vicino ai marxisti-leninisti. Brahmi veniva da Sidi Bou Zid e per il suo blocco c’è stata una forte attrazione di voti tanto che la sua vedova è stata eletta in Parlamento. Insomma l’attrazione di voti per il Fronte popolare solo in parte viene da Hammami, ora c’è più adesione personale intorno alle figure di Belaid e soprattutto Brahmi.
COSA CAMBIA ADESSO PER LE DONNE? Le libertà femminili non sono state toccate in questi tre anni e non lo saranno adesso. In Tunisia le donne hanno goduto di una situazione avanzatissima dal 1956, quando fu introdotto il Code du statut personnel, con diritto di famiglia, divorzio, e abolizione della poligamia. Quella fu la prima svolta emancipatrice. La seconda è arrivata dopo la rivoluzione, quando sono intervenute due innovazioni giuridiche di grande portata. In primo luogo l’introduzione della legge elettorale paritaria per cui tutte le liste hanno candidature alternate uomo/donna, il che agevola l’ingresso in Parlamento delle donne. Così in Tunisia le donne sono arrivate a costituire fra il 25% e il 30% dell’Assemblea costituente, che è una quota rispettabile anche per i Paesi Ue. In secondo luogo l’inserimento nella Costituzione della parità nelle assemblee elettive come obiettivo a cui lo Stato deve mirare. Con queste due leggi c’è stata un’istituzionalizzazione della presenza delle donne in politica, che porterà un grande cambiamento culturale.
LEI SI È OCCUPATA DI SPAZIO PUBBLICO, COME PENSA CHE SI EVOLVERÀ QUESTO CONCETTO CON LA VITTORIA DI NIDAA TOUNES? Per lo spazio pubblico è in corso un conflitto per l’egemonia culturale. Subito dopo la rivoluzione l’islam politico si è preso lo spazio pubblico che non aveva avuto fino a quel momento, per esempio con la liberalizzazione dell’uso del velo che sotto Ben Ali era vietato indossare in pubblico. Sono entrati però nello spazio pubblico anche i salafiti, dai quali Ennahda ha preso le distanze. Adesso secondo me potrebbe esserci un sussulto identitario da parte degli islamisti, con una reazione assolutamente simmetrica a quella avuta con l’arrivo degli islamisti. Su Facebook, per esempio, si scambiano messaggi in cui si dice: ‘Ragazze, attente, comprate veli di riserva perché vorranno strapparvelo’. Oppure qualcuno esprime il timore che il marito torni in prigione per motivi religiosi. Lo stesso Ennahda, però, si dice sicuro che democrazia era prima e democrazia sarà anche adesso. Bisogna tenere in considerazione inoltre un’altra variabile, cioè quella generazionale: le giovani generazioni che si richiamano all’islam politico contestano i padri. La modalità è paragonabile a quanto accadde in Italia nel ’68, quando il ragionamento era: Avete pur fatto la resistenza, ma facciamo passi avanti. In Tunisia alcuni giovani pensano che i genitori siano troppo vecchi per la rivoluzione e altri che chi è stato in prigione si sia troppo appiattito sulle istituzioni.
QUALI SFIDE VEDE ALL’ORIZZONTE? Io vedo positivo, ma la grossa incognita è costituita dal ricorso alla forza e al terrorismo da parte di chi non è interessato alla democrazia in Tunisia. Può essere un problema endogeno da parte dei nostalgici di Ben Ali, oppure esogeno con minacce da parte di al-Qaeda, che gioca facile vista la vicinanza di Libia e Algeria. La fragilità interna si affronta se gli avversari politici storici trovano un accordo, la fragilità esterna invece resta un’incognita.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata