di Valentina Innocente
Roma, 15 set. (LaPresse) – Qualunque sarà l’esito del referendum di giovedì per l’indipendenza della Scozia, il Regno Unito ne uscirà profondamente trasformato. Ad esserne convinto è Sergio Romano, storico, editorialista del Corriere della Sera ed ex ambasciatore italiano in un’intervista esclusiva a Lapresse: la consultazione del 18 settembre modificherà l’assetto politico britannico sia che vinca il fronte del ‘sì’ sia che prevalga la lista ‘Better togheter’ fautrice del ‘no’. Da una parte, sostiene Romano, in caso di scissione dal Regno Unito, si dovrebbero rivedere non solo gli aspetti politici ed economici (tra cui il mantentimeno dell’unione monetaria tra Inghilterra e Scozia) ma anche i rapporti con l’Unione europea e la Nato, che andrebbero ricreati ad hoc. Se, invece, gli scozzesi resteranno cittadini britannici, Londra sarà costretta a dare concretezza alle tante promesse di maggiore autonomia, soprattutto fiscale, rivolte agli scozzesi in questi giorni di campagna elettorale, con il rischio di creare un pericoloso precedente per i movimenti secessionisti di Galles e Irlanda del Nord.
“Lo scenario che si prospetterà in caso di vittoria degli indipendentisti è ancora confuso: forse non si dovrà parlare neanche più di Regno Unito, nel senso letterale del termine”, sostiene Romano. Dalla moneta alle Forze armate, dalla sanità all’apparato burocratico: sono tante le istituzioni britanniche il cui futuro apparirebbe incerto. Dopo oltre 300 anni di unione, l’eventuale separazione tra la Scozia e il resto della Gran Bretagna, oltre all’impatto politico e finanziario sui cittadini britannici e su quelli del resto del mondo, comporterebbe numerosi problemi pratici. Uno dei principali punti interrogativi riguarda la sterlina. Il ministro delle Finanze britannico George Osborne ha più volte ribadito che la Scozia non potrà mantenere il ‘pound’ come moneta nazionale, in caso di secessione. Ma il primo ministro del Parlamento scozzese Alex Salmond ha sostenuto il contrario, definendo ricattatorie le posizioni del governo. “La Banca centrale britannica ha fatto sapere che il mantenimento dell’unione monetaria tra Londra e Edimburgo sarebbe impossibile in caso di scissione tra le due – precisa Romano – credo che alla Scozia sarebbe forse più utile l’euro, in caso di indipendenza, ma è una questione estremamente delicata e complessa tanto da non essere ancora stata studiata”. Al momento, gli indipendentisti non hanno ancora fatto sapere la propria posizione nel caso Londra rifiuti veramente l’unione monetaria con la nuova Scozia indipendente.
Altro nodo centrale, l’Unione europea. La Scozia ha già fatto sapere che anche in caso di governo autonomo continuerà a farne parte, ribadendo che non sarà necessario richiedere ufficialmente l’entrata perchè già inserita in Europa con la Gran Bretagna. “Ma è proprio qui che gli indipendentisti si sbagliano, l’Unione non è d’accordo – continua Romano – e Bruxelles ha spiegato che la Scozia indipendente dovrà ripresentare la domanda di annessione e ripercorrere la strada dall’inizio. E poi, non bisogna sottovalutare il rischio contagio”. Secondo Romano, infatti, i movimenti secessionisti di Catalogna in Spagna o delle minoranze fiamminghe nei Paesi Bassi potrebbero sentirsi rafforzati dalla vittoria scozzese e pretendere la medesima autonomia “con conseguenze che non è possibile prevedere”. “Bisogna inoltre pensare – aggiunge l’editorialista – che in un contesto globalizzato come quello attuale, essere piccoli sia dal punto di vista territoriale che come potenza economica e finanziaria non conviene. Si rischia di essere mangiati ancora prima di nascere”.
Scenario complesso anche nel caso di vittoria dei ‘no’. Impossibile per Londra mantenere lo status quo, ribadisce lo storico. Dopo gli ultimi sondaggi pubblicati da YouPoll che davano in vantaggio il fronte secessionista, il governo britannico è corso ai ripari: il premier David Cameron ha promesso agli scozzesi di garantire loro maggiore autonomia, soprattutto in campo fiscale. Devolution contro indipendenza. “Una soluzione che porterà alle medesime rivendicazioni anche da parte del Galles e dell’Irlanda del Nord – spiega Romano – un governo federale della Scozia creerà un pericoloso precedente e genererà aspettative in quelle parti del Regno che da tempo premono per un autogoverno”.
Anzi, ribadisce Romano, proprio la decisione del governo di Tony Blair nel 1999 di concedere una risposta federalista per arginarne il malcontento e mantenere l’unione con la creazione di Parlamenti in Scozia Galles e Irlanda del Nord è stata il vivaio per una nuova classe politica. “Gli scozzesi hanno sempre mantenuto una forte autonomia indentitaria ma erano istanze di una popolazione che guardava a se stessa in un contesto nazionale. Con la creazione del Parlamento di Edimburgo – precisa Romano – i deputati hanno dovuto risolvere problemi scozzesi in una prospettiva scozzese. E questo ha generato una coscienza secessionista che ha portato al forte consenso registrato oggi dagli indipendentisti”. I sondaggi pubblicati dai media britannici durante la campagna sembrano confermare la tesi di Romano, evidenziando differenze significative tra i vari gruppi: gli elettori più anziani sono i più propensi ad opporsi all’indipendenza rispetto alle nuove generazioni, cresciute nel solco tracciato dalla devolution.
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