Roma, 20 lug. (LaPresse) – Con l’espressione “territori palestinesi occupati” si fa riferimento principalmente a due aree: la Striscia di Gaza (una minuscola porzione di terra lunga poco più di 40 chilometri e larga una decina: una superficie più piccola della provincia di Monza, con quasi due milioni di abitanti) e la Cisgiordania. Furono occupati da Israele nel 1967, durante la guerra dei sei giorni. Appartengono poi a questa definizione anche Gerusalemme est (la città si trova proprio sul confine tra la Cisgiordania e lo Stato ebraico, ed è divisa in una parte araba, quella est, e in una israeliana, quella ovest), e le alture siriane del Golan.

LA BASE DEL FUTURO STATO PALESTINESE. Secondo gli accordi di Oslo del 1993 (l’intesa della celebre foto di Yasser Arafat e Yitzhak Rabin e che si stringono la mano tra le braccia di Bill Clinton), su Striscia e Cisgiordania doveva nascere uno Stato palestinese indipendente.

LE AREE DELLA CISGIORDANIA. La Cisgiordania è divisa in aree sotto il controllo palestinese (aree A), aree sotto il controllo israeliano (C) ed aree a controllo misto (B). Nelle aree sotto il controllo di Tel Aviv si trovano le colonie, che si chiamano così proprio perché si tratta di insediamenti al di fuori dal territorio dello Stato ebraico, difesi con le armi da comunità in genere ortodosse o ultranazionaliste. Per consentire la nascita di uno Stato indipendente, naturalmente le colonie dovrebbero ritirarsi. Invece negli ultimi cinque anni sono cresciute di oltre il 20%, superando i 350mila abitanti.

IL MURO CHE CIRCONDA LA CISGIORDANIA. Non solo i palestinesi non possono muoversi liberamente nel territorio della Cisgiordania (numerose sono state in questi anni anche le denunce di casi di palestinesi, che dovevano raggiungere urgentemente un ospedale, morti ai check point in attesa di passare), ma tutto il confine tra Israele e la Cisgiordania è segnato da una barriera lunga circa 700 chilometri, che consiste in una successione di muri, trincee e porte elettroniche.

L’ANAGRAFE. Nella Striscia di Gaza, Israele controlla il registro di stato civile della popolazione. Ogni palestinese deve essere registrato dal ministero dell’Interno israeliano. A sedici anni, su richiesta, gli viene rilasciata una carta di identità. Le informazioni sulla carta, segnala Haaretz, sono scritte in ebraico.

IL BLOCCO MARITTIMO. I pescatori di Gaza possono pescare fino a sei miglia dalla costa. Gli israeliani impongo un blocco navale, impedendo alle imbarcazioni straniere di avvicinarsi e a quelle locali di allontanarsi. E’ proprio per forzare questo blocco che nel 2010 si avventurò nelle acque controllate dagli israeliani la Freedom Flotilla: un gruppo di sei imbarcazioni che portavano aiuti umanitari a Gaza. Salpate dalle coste di Cipro con a bordo 610 persone, fra cui 44 tra parlamentari e politici, furono abbordate dalla marina israeliana. Su una di esse si verificarono incidenti che si conclusero con l’uccisione di nove attivisti.

LA CARENZA DI MATERIALI EDILI. A bordo delle navi, tra le altre cose, tonnellate di calcestruzzo, piastrelle e ferro. Il blocco israeliano e le sanzioni internazionali, infatti, hanno provocato in questi anni una grave mancanza di questi materiali, soffocando la fragile economia locale.

LA CRISI SANITARIA. Il blocco ha provocato, soprattutto nell’ultimo periodo, anche una grave carenza di materiali negli ospedali (medicinali, strumenti chirurgici, persino garze e disinfettanti), il che aveva provocato una crisi sanitaria già prima dell’operazione militare ‘Margine protettivo’. Crisi che ora si è trasformata in grave emergenza.

IL BLOCCO EGIZIANO. Anche l’Egitto, che confina con il sud della Striscia di Gaza, impone una pesante limitazione dei movimenti attraverso il valico di Rafah. La vittoria elettorale dei Fratelli musulmani aveva migliorato le relazioni tra Gaza e Il Cairo, ma il colpo di stato che ha portato alla deposizione di Morsi li ha raffreddati drasticamente.

LA CARENZA DI ELETTRICITA’. La Striscia dipende anche per l’elettricità da Israele, che le vende, scrive Haaretz, 120 megawatt a prezzo pieno: troppo poco, appena un terzo delle necessità. Risultato: è molto diffuso il ricorso ai generatori.

LA CARENZA DI BENZINA. Ma anche i generatori sono un problema: la benzina, anche questa importata attraverso israele, è troppo poca, e spesso si rimane a secco.

LA CARENZA DI ACQUA. Per quanto riguarda l’acqua, Israele ha imposto alla Striscia il blocco totale: Gaza deve farsi bastare le falde acquifere che ha e l’acqua piovana. Perciò c’è anche una grave carenza idrica.

LE CONDIZIONI DI HAMAS PER LA TREGUA. A causa di questa situazione, Hamas ha posto come condizione per una tregua l’apertura di un corridoio marittimo che consenta l’ingresso nella Striscia di cose e persone e la riapertura del valico di Rafah.

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