Dal nostro inviato a Bruxelles Fabio De Ponte
Bruxelles (Belgio), 27 giu. (LaPresse) – Doveva essere un vertice dedicato alla lotta alla discoccupazione giovanile e alle misure per il credito alle piccole e medie imprese e invece si è trasformato nell’ennesimo braccio di ferro sul bilancio con il Regno Unito, che punta i piedi nel timore di dover spendere più di quello che si era pattuito. E’ questo il risultato della prima giornata di lavori del Consiglio europeo, che si era aperta invece all’insegna della fiducia e dell’ottimismo.
In mattinata, infatti, il presidente della Commissione Ue Josè Barroso aveva annunciato che era stato “raggiunto un accordo politico” tra il Consiglio Ue e il Parlamento. Il primo aveva strappato finalmente il via libera a una drastica riduzione del budget 2014-2020, che si ferma a 960 miliardi di euro, rispetto ai precedenti 1047. Il secondo aveva strappato un approccio più flessibile, per permettere lo spostamento di risorse da una voce a un’altra e da un anno all’altro, a seconda delle esigenze.
Barroso aveva parlato di “un buon accordo per l’Europa e per i cittadini europei”. Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, aveva accolto “calorosamente” la notizia, mentre il presidente del Parlamento Martin Schulz aveva annunciato che l’accordo era accettabile dall’istituzione che rappresenta.
In serata la doccia fredda: tutto congelato. “A febbraio – ha scritto il premier britannico David Cameron su Twitter – abbiamo fatto un accordo storico per tagliare il bilancio Ue. Sono lieto che i parlamentari europei finalmente si siano dichiarati d’accordo. Bisogna attenersi a quell’accordo”. Oggetto del contendere, spiega il ministro per gli affari Europei, Enzo Moavero Milanesi, è l’entità dello sconto accordato al Regno Unito. Il premier britannico David Cameron vuole essere sicuro di non perdere “neanche un penny” della riduzione che Londra ottiene sul saldo tra quanto versa e quanto riceve dall’Ue. Una pratica, quella dello sconto, che era riuscita a imporre Margaret Thatcher e che da allora è rimasta un privilegio dei britannici. Rispetto all’intesa raggiunta a febbraio, nell’accordo di stamane c’è stata qualche limatura e Londra potrebbe rimetterci. La questione non dovrebbe però, ha spiegato Milanesi, mettere in pericolo l’intero bilancio, data la dimensione relativamente limitata della questione.
Un bilancio che presenta qualche luce. Quella maggiore è il via libera all’impiego dei sei miliardi di euro del fondo ad hoc per la lotta alla disoccupazione, già nel periodo 2014-2015, al contrario della previsione iniziale, che vedeva queste risorse spalmate su sette anni.
Non è tutto oro, però, quello che luccica. Solo 2 miliardi e 543 millioni di euro saranno anticipati dallo stanziamento 2016-2020. Poco meno di mezzo miliardo era già stato stanziato per il periodo 2014-2015, mentre altri 3 miliardi dovranno essere recuperati tagliando fondi strutturali. Vale a dire che dovranno metterceli gli Stati. “Abbiamo bisogno di più risorse”, ha spiegato il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz. Vede il bicchiere mezzo pieno il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker: “Non si tratta di una cifra impressionante ma è un inizio”, ha sottolineato.
Altra questione sul tavolo, l’uso che va fatto della Banca europea degli investimenti: se l’accento vada posto più su ‘banca’ o più su ‘degli investimenti’. In altre parole, se debba difendere la propria tripla A ad ogni costo o concentrarsi sulla erogazione del credito necessario alla crescita. Sulla questione si scontra il fronte dei paesi rigoristi, in particolare Olanda, Finlandia e Svezia, con quello dei Paesi più orientati a una politica espansiva, in particolare Italia, Spagna e Francia. La Germania, che pure è più orientata alla prima interpretazione, rimane però abbastanza nel mezzo.
I numeri della Bei restano quelli già noti da tempo: una dotazione, grazie all’aumento di capitale, pari a 10 miliardi di euro che, con l’effetto leva, dovrebbe arrivare a raccoglierne 60 e a movimentarne 120. Risorse da destinare integralmente al rilancio della crescita e dell’occupazione. Un lavoro, ha spiegato ai leader Ue il presidente della Bei, Werner Hoyer, presente al vertice, che è stato già iniziato, che ha già dato qualche frutto e che va continuato.
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