Baghdad (Iraq), 20 mar. (LaPresse/AP) – In Italia era la notte tra il 19 e il 20 marzo 2003, quando i jet americani partivano per bombardare l’Iraq. Obiettivo principale dell’invasione, ordinata dall’amministrazione Usa allora guidata da George W. Bush, era la deposizione di Saddam Hussein. Un’operazione studiata per mesi e su cui un’ampia parte dell’opinione pubblica mondiale aveva espresso la propria contrarietà. Anche per questo, Washington si rese protagonista di una escalation di azioni mediatiche per accrescere l’interesse sul Paese, in vista dell’attacco. Non ultima la celebre provetta di antrace, poi dimostrato fasullo, portata dal segretario di Stato Colin Powell in Consiglio sicurezza Onu e presentata come prova dell’utilizzo da parte irachena di armi di distruzione di massa.

La guerra è ufficialmente durata oltre otto anni, con il passaggio definitivo dei poteri alle autorità locali a dicembre 2011, anche se la cattura di Saddam, poi ucciso per impiccagione nel 2006, era avvenuta a dicembre 2003. Il primo maggio di quello stesso anno, a meno di due mesi dall’avvio del conflitto, Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln e parlò con uno striscione alle spalle che recitava le parole ‘Missione Compiuta’. Fu allora che il presidente proclamò la conclusione delle operazioni militari su larga scala in Iraq. Ma l’impegno sul terreno era tutt’altro che finito. In totale, durante l’invasione furono impiegati 300mila soldati Usa, mentre dal 2004 in poi le truppe dispiegate sono state 150mila. Eppure nessuna arma di distruzione di massa è mai stata trovata in suolo iracheno.

Durante gli otto anni di impegno sull’Iraq, hanno perso la vita oltre 100mila iracheni e 4.500 soldati americani. Centinaia di miliardi i dollari spesi per l’operazione, che ha reso tristemente noti alcuni nomi di città, come Fallujah, Haditha e Ramadi, e di luoghi, come il carcere di Abu Ghraib, divenuto celebre per gli abusi sui detenuti, le cui foto hanno fatto il giro del mondo. Se per gli americani la fine del conflitto ha portato sollievo, per la popolazione locale la guerra sarà più difficile da dimenticare. Restano i luoghi distrutti, i segni visibili su migliaia di corpi feriti. E, a oltre un anno dal ritiro delle truppe straniere, il Paese è ancora in bilico tra guerra e pace. Solo ieri, alla vigilia del decimo anniversario dell’attacco, 65 persone hanno perso la vita e oltre 240 sono rimaste ferite, in una serie di attentati che hanno insanguinato la capitale Baghdad. Questa mattina, il gruppo ‘Stato islamico dell’Iraq’, affiliato ad al-Qaeda, ha rivendicato la responsabilità dell’ondata di attacchi spiegando che si tratta di una vendetta contro “le esecuzioni e i massacri” dei prigionieri sunniti detenuti nelle carceri irachene. I militanti nel loro comunicato avvertono inoltre il governo sciita di Baghdad di interrompere le esecuzioni di manifestanti sunniti, altrimenti dovrà “attendersi altri pessimi eventi e bagni di sangue”.

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