Neuquén (Argentina), 23 dic. (LaPresse) – La lotta era iniziata con un’occupazione, nell’ottobre del 2001. All’alba dell’ufficializzazione della crisi economica dell’Argentina, che stava per dichiarare default, e dopo la fuga del padrone della fabbrica di origine veneta, la quasi totalità degli operai della Zanon aveva deciso di non abbandonare il luogo di lavoro. Una fabbrica culla delle piastrelle di ceramica che serviva mezza America latina, unica speranza per pensare a una vita dignitosa. Passati pochi mesi, a marzo 2002, quel gruppo era riuscito a riattivare la produzione, e la settimana scorsa, dopo undici anni di attesa, gli operai ceramisti hanno conosciuto il momento per cui fin dall’inizio si sono battuti. La fabbrica è ora ufficialmente di loro proprietà. La scorsa settimana, infatti, la provincia di Neuquén si è fatta carico dell’importo di denaro necessario all’esproprio, mentre il giudice fallimentare ha consegnato l’impianto, i macchinari e il marchio Zanon alla gestione operaia. “Si è concretizzato il motto ‘Zanon è del popolo’ e si è dimostrato che il controllo operaio è una forma di uscita dalla crisi”, ha commentato al giornale argentino Pagina/12 Alejandro Lopez, uno dei leader della battaglia per l’espropriazione e deputato provinciale del Fronte della sinistra (Frente de Izquierda).

SENZA PADRONI. La lotta è stata lunga e difficile, passata attraverso numerosi tentativi di sgombero, e sostenuta dalla popolazione di Neuquén, alle cui porte sorge lo stabilimento ribattezzato Fasinpat (Fabrica Sin Patrones, Fabbrica senza padroni), e delle cittadine vicine, da Centenario a Cipolletti: il cuore di una provincia della Patagonia ricca di petrolio, così come di abitanti sull’orlo della povertà. Una lotta fatta di mate, la tipica bevanda argentina che a nessuno si nega, e che accompagna ogni momento della giornata in fabbrica e fuori. E fatta di argilla, quella che serve a dar vita alle piastrelle di ceramica che nascono nei forni ad altissime temperature.

FABRICAS RECUPERADAS. Tutto cominciò alla fine del 2001, con l’Argentina ormai al default e un numero imprecisato, altissimo, nell’ordine di centinaia, di fabbriche e piccole imprese, costrette a chiudere sotto il peso della crisi o i cui padroni decisero di fermare la produzione per evitare di assumersi oneri troppo gravi. La risposta del Paese, in ginocchio e senza speranze di ritrovare nelle autorità governative una guida affidabile, fu rapida e diffusa, e trovò nell’esperienza delle ‘fabricas recuperadas’ uno dei suoi capitoli migliori. Operai di ogni settore e competenza decisero di prendere sulle proprie spalle l’onere della conduzione di fabbriche e non solo, come dimostra l’esperienza dell’Hotel Bauen in pieno centro a Buenos Aires. Ed è stata proprio quest’ultima, con la sua grande provincia, il teatro principale della vicenda che però ha conosciuto nel fenomeno Zanon, a circa mille chilometri dalla capitale, l’esempio forse più vincente. Prima degli operai della fabbrica di ceramiche, a ottenere qualche anno fa il totale controllo dell’azienda erano stati quella della cooperativa Renacer, a Ushuaia, la città più australe del mondo.

L’ESPROPRIAZIONE. “Questo passo enorme – ha commentato a Pagina/12 Raul Godoy, altro storico leader della battaglia in fabbrica – è stato raggiunto grazie alla lotta, all’appoggio della comunità di Neuquén e di molte organizzazioni nazionali, e ha un grande valore non solo per gli operai ceramisti, ma anche per tutti i lavoratori nel Paese e nel mondo, come alternativa concreta alla crisi, e ai capitalisti che chiudono le fabbriche”. Se nel 2005 il giudice aveva dichiarato il fallimento del gruppo dirigenziale Zanon, la prima tappa della vittoria degli operai, dopo otto anni di scontri, tentativi di sgombero e varie difficoltà, era giunta nell’agosto 2009, quando la legislatura di Neuquén aveva approvato una legge che obbligava l’esecutivo provinciale a espropriare beni immobili e mobili, e tutti gli altri beni tangibili della fabbrica Zanon, insieme ai marchi. E poi, altro momento importante, quando poco tempo fa il governatore provinciale Jorge Sapag ha firmato un decreto che destina i fondi al pagamento dell’importo necessario all’espropriazione. Fino alla decisione della scorsa settimana da parte della provincia di Neuquén che ha chiuso definitivamente la storia a favore degli operai.

UNA BATTAGLIA CULTURALE. Ma la vera vittoria dei lavoratori Zanon, oggi Fasinpat, è stata quella conquistata giorno per giorno nell’impianto di produzione. Prima di tutto le assunzioni. Da un gruppo di 262 operai che occupò la fabbrica nell’ottobre 2001, pochi giorni dopo lo stop alla produzione deciso dall’azienda, negli anni si è passati a oltre 450. Quindi l’organizzazione interna, che ha visto nell’assemblea collettiva il luogo deputato alla discussione e alla presa delle decisioni comuni, che fossero la produzione di una nuova linea di piastrelle o una manifestazione per le strade della città. Poi il prodotto, divenuto simbolo della lotta, e dell’unione con la comunità locale e con la popolazione indigena mapuche. Anche per questo, gli operai, fin dall’inizio dell’autogestione, hanno dato vita a nuove linee dai nomi significativi, come Obrero (operaio), oppure Kalfukura, dal nome di un capo mapuche, o ancora Hebe, dedicata alla presidentessa dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, Hebe de Bonafini. Ma soprattutto, quello che ha saputo conquistarsi questa esperienza è stato il ruolo di modello per altre realtà simili, della zona e non, per cui Fasinpat è divenuta, anche a livello internazionale, un vero punto di riferimento. E la conquista della scorsa settimana lo rende ancora più vero.

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