Bengasi (Libia), 20 mag. (LaPresse/AP) – A 60 anni è morto in Libia Abdulbasit al-Megrahi, unico condannato per l’attentato contro un volo della PanAm sulla cittadina scozzese di Lockerbie del 1988. Nell’attacco persero la vita 270 persone tra cui molti statunitensi. Ad annunciare il decesso è stato il figlio Khaled in un’intervista telefonica. Condannato all’ergastolo da una corte scozzese nel 2001, al-Megrahi era stato liberato il 20 agosto del 2009 per motivi umanitari, dopo che i medici gli diagnosticarono un cancro alla prostata. All’epoca i dottori avevano previsto che avrebbe avuto solo tre mesi di vita.

Dopo il rilascio, alla rabbia dei parenti delle vittime dell’attacco, si contrappose l’accoglienza da eroe che l’ex agente dell’intelligence libico ricevette al suo ritorno in patria. Molti rimasero convinti che la decisione del rilascio sia dipesa soprattutto dalla volontà britannica di favorire i propri interessi commerciali nel Paese nordafricano, accuse respinte seccamente dal Regno Unito.

La caduta e poi la morte del leader libico Muammar Gheddafi non hanno aiutato a svelare i misteri che ancora circondavano la figura di al-Megrahi. I procuratori, assieme a Usa e Regno Unito, hanno sempre sostenuto che non avesse agito da solo, ma su ordine dell’intelligence di Tripoli. Poco si sa della sua vita. Al processo era stato descritto come capo “della sicurezza aeroportuale” dell’intelligence libica e testimoni hanno riferito che negoziò accordi per acquistare equipaggiamenti per i servizi segreti e l’esercito di Tripoli. Nei mesi che precedettero il rilascio, il governo di Gheddafi fece grandi pressioni su Londra, minacciando che, se al-Megrahi fosse morto nel carcere scozzese in cui era detenuto, tutte le attività commerciali britanniche in Libia sarebbero state interrotte e grandi manifestazioni sarebbero state organizzate fuori dalle ambasciate britanniche.

Dopo la liberazione, al-Megrahi ha mantenuto uno stretto riserbo, vivendo nella casa di famiglia circondata da alte mura in un quartiere di Tripoli. Verso la fine dei suoi giorni, era tornato a insistere di non aver avuto nulla a che fare con l’attentato. “Sono un uomo innocente. Sto per morire e chiedo solo di essere lasciato in pace con la mia famiglia”, aveva detto nella sua ultima intervista, pubblicata a dicembre da diversi media britannici.

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