Beirut (Libano), 10 apr. (LaPresse/AP) – Mentre gli attivisti siriani riportano di nuovi attacchi e arresti avvenuti in diverse città siriane, il governo di Bashar Assad annuncia che il ritiro delle truppe dalle zone abitate è cominciato. Scade oggi il termine concordato tra il regime e l’inviato speciale di Nazioni unite e Lega araba, Kofi Annan, per l’applicazione del piano di pace. Il primo punto è il ritiro dei soldati e dei mezzi militari da città e villaggi, dalla scadenza stabilita oggi sono previste 48 ore per la completa applicazione. Gli attivisti, sebbene riferiscano di un calo degli attacchi, hanno detto che non c’è stata alcuna ritirata su larga scala. Se il piano di Annan fallisse, per alcuni sarà stata persa l’ultima possibilità di una soluzione diplomatica e il rischio di una guerra civile nel Paese sarà sempre più concreto. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime delle violenze oggi sarebbero 38 civili, in diverse parti del Paese, e 19 soldati dell’esercito di Damasco, per lo più uccisi in agguati dei ribelli.
Intanto, Kofi Annan lancia un ennesimo appello al regime e alle forze di opposizione affinché rispettino la sua proposta di pace. “Il piano – ha detto, parlando ad Hatay, in Turchia, dove oggi ha fatto visita a un campo rifugiati – è ancora sul tavolo ed è un piano per la cui attuazione stiamo tutti lottando. Abbiamo ancora tempo tra ora e il 12 aprile (giovedì, ndr) per fermare le violenze. Faccio appello a tutti, al governo in primo luogo”. In una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, letta oggi a porte chiuse, Annan ha ribadito l’importanza che il governo di Damasco “colga l’opportunità di fare un cambiamento” nelle operazioni militari per fermare tutte le violenze entro la data stabilita.
Lo scetticismo sul rispetto dell’impegno da parte di Damasco è però alto in tutto il mondo, perché i precedenti impegni sono tutti stati disattesi. “Abbiamo già ritirato le unità di forze ed esercito da numerose province siriane”, ha detto il ministro degli Esteri Walid Moallem da Mosca, dove ha incontrato la controparte russa Sergey Lavrov. Ha inoltre posto quella che è parsa una nuova conduzione, dopo la richiesta della settimana scorsa di un impegno scritto di cessate il fuoco da parte dei ribelli. Ha infatti detto che il cessate il fuoco deve iniziare nello stesso istante in cui sarà schierata una missione di osservatori internazionali. Lavrov, il cui Paese ha due volte impedito, ponendo il veto con la Cina, l’approvazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu di risoluzioni contro il regime di Assad, ha detto oggi che il governo siriano “avrebbe potuto essere più attivo e decisivo” nell’applicare il piano di Annan. Ha anche chiesto un veloce invio di osservatori stranieri, tra cui russi, nel Paese.
Intanto, l’Osservatorio per i diritti umani ha detto di non aver rilevato una massiccia ritirata delle truppe, sebbene ci sia stato un calo degli attacchi. Gli attivisti hanno riferito di bombardamenti oggi da parte dell’esercito governativo nella città di Mariah, nel nordovest, di attacchi di mortaio a Homs e di arresti nel sobborgo Harasta di Homs. Un abitante di quest’ultima, Mohammed Saeed, ha detto però che i carri armati che solitamente pattugliano le strade oggi non sono visibili. Ieri i soldati siriani hanno ucciso un giornalista libanese sul confine e aperto il fuoco in un campo rifugiati in Turchia, appena oltre il confine. Almeno sei persone sono rimaste ferite e secondo testimoni due uccise. La dura reazione del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan è arrivata oggi. Ha infatti accusato la Siria di aver violato il confine e dichiarato che Ankara sta ora valutando come rispondere, pensando anche a misure “cui non avremmo voluto pensare”. La Turchia, che sinora ha accolto oltre 24mila rifugiati fuggiti dalle violenze in Siria, ha ipotizzato di creare zone di sicurezza ai confini, passo che coinvolgerebbe l’esercito turco nel conflitto.
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