Damasco (Siria), 3 apr. (LaPresse/AP) – Le truppe di Damasco hanno cominciato a ritirarsi dalle città. Almeno questo è quanto riferiscono le autorità siriane. “Le forze – ha spiegato ad Associated Press un funzionario del governo – hanno iniziato a ritirarsi dalle città calme e stanno tornando alle proprie basi, mentre nelle aree tese, si stanno spostando nelle periferie”. L’ufficiale, rimasto anonimo per rispetto ai regolamenti, ha parlato dopo che Damasco ha accettato la scadenza del 10 aprile per mettere in pratica il piano in sei punti delineato dall’inviato speciale dell’Onu Kofi Annan. Il programma prevede che le forze militari si ritirino dalle città e osservino un cessate il fuoco. I ribelli devono ovviamente seguire l’esempio.
Oggi anche la Russia aveva fatto sapere, attraverso il ministero degli Esteri, di essere stata informata dal governo di Damasco che il piano stava venendo applicato. Il vice ministro Mikhail Bogdanov ha espresso soddisfazione, aggiungendo che ora l’opposizione siriana deve seguire l’esempio. Non è possibile, tuttavia, confermare la notizia data dal funzionario governativo in modo indipendente, e le versioni degli attivisti sembrano smentire. “Questo è impossibile. Posso vedere un posto di blocco dalla mia finestra”, ha detto via Skype Khaled al-Omar, attivista che vive a Saqba, sobborgo di Damasco, aggiungendo che le forze sono ancora nella piazza principale.
Resta il fatto che le violenze non si fermano. Secondo i Comitati di coordinamento locali, oggi sarebbero almeno 13 le vittime in tutto il Paese. Tra loro sei nella provincia di Homs e cinque in un raid delle forze di sicurezza a Taftanaz. Sempre secondo gli attivisti, le forze del regime oggi hanno attaccato diversi quartieri ribelli nella città di Homs e nelle vicine Qusair e Rastan, arrestando molte persone altrove. Operazioni dell’esercito e scontri sono stati registrati anche nella provincia di Hama e Daraa, nel sud.
A conferma della difficile situazione arrivano anche i dati raccolti da Amnesty International, che ha ricevuto i nomi di 232 persone, tra cui 17 bambini, uccise da quando il governo di Damasco ha accettato il piano di pace di Annan, il 27 marzo. L’organizzazione internazionale riferisce inoltre la notizia di 13 studenti picchiati nella loro scuola a Daraya, sobborgo di Damasco. “Le prove – ha dichiarato Suzanne Nossel, direttore esecutivo di Amnesty in Usa – mostrano che il presunto accordo di Assad al piano di Annan non sta avendo alcun impatto sul terreno”. Il governo, aggiunge, deve rilasciare migliaia di prigionieri, fermare gli arresti e le violenze, “altrimenti, l’unica conclusione che possiamo trarre è che la Siria ha fatto ancora una volta una promessa a vuoto”.
Intanto, al Palazzo di vetro delle Nazioni unite, i membri del Consiglio di sicurezza stanno studiando una bozza di dichiarazione di sostegno al piano di Annan. Stati Uniti e Francia hanno fatto circolare tra i Paesi membri il documento che, secondo l’ambasciatore francese all’Onu, Gerard Araud, dovrebbe essere approvato domani o giovedì. La bozza, ha commentato l’ambasciatrice statunitense Susan Rice, “sottolineerà l’importanza che il governo siriano rispetti il suo impegno a fermare tutte le azioni offensive entro il 10 aprile”. Se la Siria non bloccherà le violenze, ha aggiunto la Rice, gli Usa consulteranno i membri del Consiglio di sicurezza sulla necessità di intraprendere “passi appropriati”. Le forze siriane, ha aggiunto la Rice, stanno continuando le operazioni offensive e gli Usa “sono preoccupati e piuttosto scettici sul fatto che il governo della Siria rispetterà immediatamente i suoi impegni”. Se Assad non rispetterà la data del 10 aprile per ritirare le truppe e fermare le violenze, la Rice ha espresso la speranza che il Consiglio di sicurezza “abbia la saggezza di fornire non solo un messaggio forte, ma azioni forti”.
Sempre oggi, come riferisce il suo portavoce Ahmad Fawzi, Annan ha detto al Consiglio che se Damasco si atterrà alla data concordata per lo stop alle violenze, e questo può essere verificato, allora l’opposizione avrà 48 ore per bloccare le sue attività militari, in modo che ci possa essere un definitivo stop delle ostilità.
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