Dall’analisi di Corso d’Italia emerge che gli addetti coinvolti da crisi industriali per i quali sono ad oggi aperti tavoli di confronto al Mimit

Sono 183.193 le lavoratrici e i lavoratori travolti dagli effetti di crisi aziendali o di settore nel comparto dell’industria e delle reti. Un numero che ci mette nella condizione di confutare, con cognizione di causa, le affermazioni di quanti confondono la propaganda con la realtà, e che rafforza le ragioni della nostra protesta”. Così il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo, che rende nota l’elaborazione dell’Area delle Politiche industriali della Confederazione sulle crisi aperte.

Dall’analisi di Corso d’Italia emerge che gli addetti coinvolti da crisi industriali per i quali sono ad oggi aperti tavoli di confronto al Mimit sono 58.026. “Diamo la cifra esatta – si legge – perché si tratta di persone, non di semplici statistiche, e a questi si aggiungono le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale, per i quali non esiste una mappatura nazionale da parte delle istituzioni, ma che noi conosciamo e rappresentiamo (18.609 nel Veneto e 18.241 in Puglia, solo per fare due esempi), o ancora, i 5.141 lavoratori di aziende che, nonostante ne abbiano fatto richiesta, non hanno un tavolo al Ministero”. 

Tra le vertenze che “parlano di una incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il paese”, solo per citarne alcune fra i dossier aperti in questi giorni, la Cgil ricorda “La Perla, che fa corsetteria di alto livello ed è vittima di speculazione finanziaria; Fos Prysmian, che produce fibra ottica di qualità e rischia di essere messa in crisi dall’utilizzo in Italia di fibra cinese e indiana; Marelli, che apre una crisi annunciata viste le trasformazioni presenti nell’automotive”. Per quanto riguarda ex Ilva, il giorno successivo all’ultimo incontro tenutosi a Palazzo Chigi tra Governo e sindacati, Gesmundo specifica che “servono risposte immediate e complessive perché non si può lasciare l’Italia priva di acciaio con altre decine di migliaia di lavoratori nell’incertezza, compresi quelli impegnati nell’indotto, per i quali occorre l’urgente attivazione di uno specifico tavolo con i Ministeri del Made in Italy e del Lavoro”.

“Uno scenario sconfortante – commenta il segretario confederale della Cgil – se pensiamo che proprio le grandi transizioni, verde e digitale, da potenziale volano per l’economia rischiano di trasformarsi in un’ulteriore occasione di impoverimento per il nostro sistema produttivo e industriale”. Ad essere a rischio di crisi a causa delle trasformazioni in atto sono infatti altri 120.026 lavoratori: 70.000 nell’automotive, 25.459 nella siderurgia, 8.000 nel settore della produzione dell’energia (centrali a carbone e cicli combinati), 2.000 nel settore elettrico (mercato tutelato), 4.094 nella chimica di base, 3.473 nel petrolchimico e nella raffinazione, 8.500 nel settore delle telecomunicazioni. 

Inoltre, la Cgil evidenzia che “permangono allo stato senza soluzioni reali le venti aree di crisi industriale complessa”. Presenti ad oggi in tredici regioni italiane, sono istituite in territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale e con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, non risolvibili con risorse e strumenti di sola competenza regionale. “E quando vengono previsti interventi ad altro livello, purtroppo non sono sufficienti. È il caso – sottolinea Gesmundo – dell’Accordo di programma approvato dal Mimit mercoledì per la riconversione e la riqualificazione dell’area di crisi industriale complessa di Melfi, Potenza e Rionero Vulture”, che prevede lo stanziamento di 20 milioni da parte del Ministero e di 8,7 milioni da parte della Regione. “Non sono risorse commisurate alla gravità della crisi di questo territorio, su cui pesano il ridimensionamento dello stabilimento Stellantis e la riconversione dei processi produttivi, con le conseguenti ripercussioni su tutto l’indotto”.

“Per queste ragioni continuiamo a sostenere che, se si guarda allo sviluppo del paese, il tema del lavoro deve essere centrale. Sono le persone il capitale necessario per continuare a crescere”, sostiene Gesmundo. “E per questo la nostra protesta continua, a partire dall’impegno per contrastare una legge di stabilità sbagliata che aumenterà il divario nella distribuzione della ricchezza, che impoverirà le lavoratrici ed i lavoratori e che farà crescere il precariato. Un impegno – conclude – che punta a migliorare le condizioni sociali per far aumentare radicalmente la partecipazione femminile e giovanile al mercato del lavoro”. 

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