Intervista all'ex parlamentare di Forza Italia massimo esperto del settore
Quando si potrà andare in pensione? Secondo le voci che circolano su un possibile futura riforma l'età pensionabile continuerà a salire fino a sfiorare i 70 anni. La Presse ne ha parlato con un esperto del settore, il professor Giuliano Cazzola che di pensioni si è occupato quando era un dirigente della Cgil e come parlamentare di Forza Italia.
Professor Cazzola sembra chiaro a tutti che si andrà in pensione sempre più tardi, sulla soglia dei 70 anni
La realtà è un'altra: nonostante un incremento graduale dell'età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni. Questa affermazione è farina del sacco dell'Inps e campeggia nella pubblicazione periodica Statistiche in breve.
Come è possibile una smentita tanto netta ad una convinzione così consolidata ?
Eppure, carta canta. Basta osservare le statistiche relative ai numeri e all'età media delle pensioni (di carattere previdenziale) per anno di decorrenza. Certo, se ci si ferma ai trattamenti di vecchiaia nel 2016, con riguardo ai principali regimi privati dei lavoratori dipendenti e autonomi, l'età media alla decorrenza è stata pari a 66 anni (66,8 gli uomini e 65,1 le donne). Va ricordato che, nel caso della vecchiaia, incide molto la parificazione tra generi, già avviata dall'ultimo governo Berlusconi ed accelerata dalla legge del 2011. Tanto che, rispetto ad allora, l'età media alla decorrenza per i maschi è cresciuta di 0,9 anni, mentre sono stati 3,7 anni per le donne. Diverso è il trend delle pensioni anticipate/di anzianità.
Ma la riforma Fornero non ne aveva decretato il superamento?
Ecco un'altra leggenda metropolitana. Dal 2012 fino al febbraio di quest'anno, sono state liquidate più di 600mila pensioni anticipate, contro 450mila prestazioni a titolo di vecchiaia. E a quale età media si è varcata, in anticipo, l'agognata soglia? Nel 2016 a 60,7 anni (dato complessivo per uomini e donne di tutte le gestioni considerate: 61,1 i primi e 59,8 anni le seconde); due decimali in più nei primi mesi del 2017. Si tenga, poi, presente che, considerando lo stock delle gestioni prese in esame, le pensioni di anzianità sono 4,2 milioni (per una spesa annua di 90 miliardi) e nel 78% dei casi erogate a lavoratori; quelle di vecchiaia 4,8 milioni (per un ammontare di 42,8 miliardi) per due terzi riservate a lavoratrici.
Un altro fattore cruciale per qualsiasi sistema pensionistico è quello demografico.
Secondo le previsioni dell'Istat, per quanto riguarda la speranza di vita alla nascita, tra 40 anni, in Italia, i nati maschi avrebbero un'aspettativa di oltre 86 anni e le femmine di 91. All'età di 80 anni, i maschi avrebbero in media ancora circa 12 anni da vivere e le femmine oltre 14. L'insieme di questi elementi propongono alcune riflessioni, a partire da quanto ha scritto la Commissione europea nella relazione del 22 febbraio scorso sull'Italia con riferimento ai provvedimenti di natura previdenziale ed assistenziale contenuti nella legge di bilancio 2017: 'le misure di recente adozione non sono in linea con la piena attuazione delle passate riforme pensionistiche che sarebbero necessarie'.
A cosa si riferisce?
Una di queste misure, a fronte degli andamenti del numero delle pensioni di anzianità e dell'età media alla decorrenza, appare piuttosto rischiosa. Si tratta della norma di carattere strutturale che consente un percorso di anticipo per il c.d. lavoratori precoci (con 12 mesi di versamenti contributivi prima dei 19 anni) in grado di far valere talune condizioni di disagio e di difficoltà (una barriera fragile che sarà presto sfondata). Ci sono almeno 3,5 milioni di lavoratori che – con i 41 anni di contributi richiesti – potranno presentarsi, man mano, all'appuntamento con la pensione ad un'età intorno a 60 anni. Intanto, la soppressione o il rinvio di questa norma avrebbero fatto risparmiare in un triennio più di 1,5 miliardi.
Più anziani in pensione, più giovani al lavoro?
C'è un'altra fake news da smentire secondo la quale ci sarebbe la riforma Fornero tra le principali ragioni della disoccupazione giovanile, a causa del rinvio del pensionamento dei lavoratori più anziani. E' un buon senso da Bar Sport: gli anziani sono costretti ad occupare quei posti di lavoro che altrimenti sarebbero riservati a nuove assunzioni. Eppure secondo una vasta e prevalente letteratura gli aumenti di occupazione degli anziani non sottraggono spazio alle altre fasce di età. Al contrario, carriere lavorative più lunghe e tassi di occupazione più alti per gli anziani sarebbero associabili a maggiori opportunità lavorative e a più elevati tassi di occupazione per i giovani, senza che emerga uno spiazzamento generazionale (crowding-out). Simmetricamente, politiche di prepensionamento sono inefficaci o addirittura dannose nel promuovere l'occupazione dei giovani.
Perchè?
Le spiegazioni più ricorrenti di queste teorie sono di tre tipi. In primo luogo, si evidenzia che le forze di lavoro di diversa età non sono omogenee per capacità e vocazioni e che quindi le diverse generazioni sono complementari più che sostituibili all'interno degli organici. In tale prospettiva, un turnover generazionale incentivato o addirittura indotto da misure di prepensionamento potrebbe squilibrare la composizione delle forze di lavoro e avere effetti negativi sulla produttività. In secondo luogo, una più elevata spesa per pensioni si tradurrebbe, se finanziata a ripartizione (pay-as-you-go), in maggiori imposte e/o contributi obbligatori, con effetti distorsivi sia sul lato dell'offerta di lavoro sia sul lato della domanda. Infine, viene chiamata in causa anche la composizione della spesa pubblica per welfare che, quando risulta sbilanciata eccessivamente sul capitolo pensioni per eccesso di uscite ad età basse, manca di sufficienti risorse da dedicare agli altri istituti di welfare.
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