Milano, 5 dic. (LaPresse) – Dopo la paura della crisi, è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani. E’ quanto emerge dal 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese relativa al 2014, che viene presentato oggi a Roma. Si fa strada la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle: lo pensa il 47% degli italiani, il 12% in più rispetto all’anno scorso. La gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo.
Tra il 2007 e il 2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, aumentati in termini reali del 4,9%, arrivando a costituire il 30,9% del totale (erano il 27,3% nel 2007). A giugno 2014 questa massa finanziaria liquida è cresciuta ancora, fino a 1.219 miliardi di euro. Prevale un cash di tutela, con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte.
Il 60% degli italiani ritiene che a chiunque possa capitare di finire in povertà, come fosse un virus che può contagiare chiunque. La gestione del contante è una strategia di risposta adattativa di fronte all’incertezza. Pensando al futuro, il 29% degli italiani prova ansia perché non ha una rete di protezione, il 29% è inquieto perché ha un retroterra fragile, il 24% dice di non avere le idee chiare perché tutto è molto incerto, e solo poco più del 17% dichiara di sentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte. Tra i giovani (18-34 anni) sale al 43% la quota di chi si sente inquieto e con un retroterra fragile, e scende ad appena il 12% la quota di chi si sente al sicuro. E il cash è anche carburante dell’informale, del nero, del sommerso, per creare reddito non tassato e abbattere i costi.
Sul fronte economico, dal 2008 si è registrata una flessione degli investimenti di circa un quarto. Si sono ridotti gli investimenti in hardware (-28,8%), costruzioni ( -26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), macchinari e attrezzature (-22,9%). Così facendo, il patrimonio netto delle imprese è aumentato negli anni della crisi arrivando a pesare nel 2013 5,8 volte l’ammontare degli investimenti effettuati. Le risorse liquide disponibili sono passate dai 238 miliardi di euro del 2008 ai 279 miliardi del 2013 (+17,3%). Ciò determina che non si investe nemmeno sui lavoratori. Così agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. È un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui.
Più penalizzati sono i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita: da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013. C’è poi il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007 2013 da poco più di 184.000 a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240.000 lavoratori sottoutilizzati.
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