Dal nostro inviato Jan Pellissier

Parigi (Francia), 27 set. (LaPresse) – “Sono tutti ottimisti, tutti che presentano auto nuove, ma a chi le vendono?”. Questa è la sintesi più lucida della prima giornata del Salone mondiale di Parigi. A farla un super designer italiano, che chiede l’anonimato. In effetti ci sarebbe poco da festeggiare a guardare i dati di vendita europei, ma qui la vetrina è globale ed ecco che anche Sergio Marchionne esce dall’angolo e rivendica orgoglioso: “Siamo il sesto o settimo costruttore del mondo”. L’Italia dove gli impianti sono utilizzati al 30% appare lontanissima. E da lontanissimo sembra arrivare l’unica soluzione del manager italo-canadese: “Tra due anni i nostri impianti di Canada, Usa e Messico avranno raggiunto la loro capacità produttiva massima – spiega il manager – e allora l’Italia potrà diventare il luogo dove produrre, l’export è l’unico modo per dare respiro al sistema produttivo italiano. Lo fanno da anni i tedeschi, ce la faremo anche noi?”.

Nel frattempo però il Governo e l’Unione europea dovranno muoversi, rendendo più facile questo meccanismo intervenendo su fisco e costo del lavoro per chi vende i suoi prodotti fuori dal Vecchio Continente. “Non chiediamo aiuti”, ribadisce Marchionne: “Non sono interventi per la Fiat – puntualizza – ma per l’export”. Ed anzi attacca il nazionalismo di altri costruttori, leggi francesi e tedeschi che chiudono stabilimenti in Spagna per tenere aperti quelli nei loro Paesi d’origine “perché tutto ciò non può succedere – spiega – in un mercato condiviso, non si può andare avanti così”.

In Italia i problemi sono altri, ad esempio le sentenze dei tribunali come quella sul reintegro dei lavoratori iscritti alla Fiom a Pomigliano. “Non aiuta me e non aiuta l’internazionalizzazione dell’Italia”, perché stando così le cose “siamo molto lontani dalla competitività internazionale”, ha detto Marchionne. Cosa serve allora? “C’è spazio per interventi strutturali, zavorre ne abbiamo abbastanza, il fisco è una di quelle”, risponde l’ad di Fiat. In queste condizioni Marchionne sui nuovi modelli non si sbilancia: “Il momento è delicato, dobbiamo stare con le orecchie basse ma molto attenti”.

Sfugge Marchionne anche quando gli si chiede che fine farà Mirafiori, storico impianto torinese, in bilico più che mai. “Ho un miliardo da investire in una nuovo modello, fatemi fare come voglio”, dice dribblando i reporter, e sul mini-Suv promesso ai sindacati fa spallucce: “Non lo so, dipende anche dalle risposte del Governo”. “Stiamo portando avanti nuove analisi” ma se le condizioni “cambiano ancora, tutto verrà rimesso in gioco”. “In Italia abbiamo investito – continua – 5 miliardi negli ultimi 3 anni, e farò tutto il possibile per tenere aperti gli impianti attuali”.

Una delle soluzioni potrebbe essere l’Alfa Romeo, che insieme a Jeep vuol portare a livello premium. “La Giulietta indica la via che vogliamo perseguire – spiega Marchionne – ma non posso dimenticare gli errori del passato, ad esempio la 159 costata 1,5 miliardi in sviluppo che era totalmente sbagliata, pesava 400 chili di troppo”. Al contrario invece “un’Alfa deve andare come un’Alfa, ed essere la best in class della sua categoria”. Ed in questo senso si pensa anche a qualche maggiore sinergia con Ferrari, ma è tutto ancora molto in fieri, “vogliamo riscrivere la storia dell’Alfa. E a chi mi chiede se la voglio vedere rispondo come sempre: No!”.

Sicura è invece la posizione del manager quando parla di Confindustria, da cui uscì nel 2011 e dove non vuole rientrare nonostante l’era Squinzi: “Quando siamo usciti siamo stati chiari. Prospettive e atteggiamenti da parte loro non sono cambiati, una soluzione comune è difficile. Gli manca invece già un po’ Mario Monti dopo l’incontro di sabato scorso: “Spero che vertici simili si ripeteranno – spiega – Mario diventerà un nome santo dopo questa esperienza, gli dobbiamo come italiani molto di più di quanto gli sia stato riconosciuto finora”. Su un Monti bis non viene interrogato, ma sui politici in generale risponde chiarissimo: “La miglior cosa che possano fare è rendere facile alle imprese competere”.

Il futuro a breve termine è invece grigissimo: “Il mercato 2012 non arriverà a 1,4 milioni di auto vendute in Italia” e in Europa il calo proseguirà: “Si sono già persi tre milioni di auto in 5 anni”. L’unica speranza è quindi un mercato americano tanto forte da aver bisogno del sovrappiù di capacità produttiva italiano per rispondere alla sua richiesta. Lo scenario è limpido e chiaro per Marchionne: “Fabbrica Italia è un piano morto un anno fa, senza la Chrysler oggi la Fiat soffrirebbe le pene dell’inferno”. Twitter @janpellissier

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