Lo ha spiegato a LaPresse il consulente Marzio Capra: "Tracce biologiche vanno confrontate anche con chi ha maneggiato i reperti"

In vista del maxi incidente probatorio, al via il prossimo 17 giugno, sul materiale biologico trovato sotto le unghie di Chiara Poggiuccisa a Garlasco il 13 agosto 2007 – la famiglia della vittima sta valutando se chiedere di estendere i prelievi di Dna da confrontare con le tracce anche ai consulenti, periti e carabinieri del Ris che hanno già analizzato i reperti nel corso di 18 anni di indagini e processi. Lo spiega a LaPresse il genetista Marzio Capra, consulente dei legali della famiglia, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna. “Mi pare ovvio che se dobbiamo confrontare delle tracce biologiche è necessario farlo anche con i profili di chi quei reperti li ha maneggiati“, afferma. “Per evitare di trovarci fra anni con un possibile ‘Ignoto 3’ o ‘Ignoto 4’ che è semplicemente il Dna di un vecchio perito o carabiniere del Ris, oppure il mio che ho partecipato agli accertamenti”, prosegue. 

Il maxi incidente probatorio sul delitto di Garlasco 

L’incidente probatorio è stato affidato dalla gip di Pavia Daniela Garlaschelli agli agenti della scientifica Denise Albani e Domenico Marchigiani, nell’ambito della nuova inchiesta sul delitto di Garlasco che vede nuovamente indagato per omicidio Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Si procederà a una maxi perizia su reperti come il materiale biologico trovato sotto le unghie della vittima, frammenti di oggetti sequestrati nella villetta, e impronte digitali rilevate sulla scena del crimine. In questo contesto, la richiesta di estendere i prelievi genetici che potrebbe avanzare la famiglia Poggi potrebbe partire dunque dal genetista Francesco De Stefano e dal suo staff: De Stefano è il perito della Corte d’assise d’appello nel processo bis del 2014 che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni per l’omicidio di Garlasco. Aveva stabilito, “senza alcun rilievo di segno contrario” da parte della difesa Stasi, come le tracce di dna maschile e misto sulle unghie della 26enne uccisa fossero degradate, contaminate, non databili e inutili per fornire indicazioni di “identità” di un singolo soggetto.

 

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