Il progetto è nato a metà degli Anni Duemila, oggi vede dai 4 agli 8 detenuti impiegati, che ogni giorno escono dal carcere per andare a lavorare
Farina, lievito, acqua e… un pizzico di emozione. Sono gli ingredienti impastati da alcuni detenuti del carcere di Verbania, in Piemonte, che lavorano al progetto della Banda Biscotti: realizzano dolci e dolcetti tutto l’anno, uscendo dal carcere e recandosi nel laboratorio per svolgere il loro turno di lavoro. E, sotto le feste, la produzione aumenta e la fibrillazione è tanta.
“Il progetto nasce a metà degli anni Duemila dopo un corso di formazione nell’ambito detentivo da parte di un’agenzia formativa. Sulla spinta dell’entusiasmo dei partecipanti e degli organizzatori è nato un primordiale gruppo di lavoro della Banda Biscotti, molto artigianale: i detenuti hanno chiesto di continuare le attività di pasticceria ed è stata allestita una cella nel carcere, una cella adibita a laboratorio“, spiega a LaPresse Alice Brignone, coordinatrice del progetto della Banda Biscotti.
“Poi si è formalizzata come cooperativa Divieto di Sosta, oggi entrata a far parte di un più grande progetto con la Cooperativa Il Sogno. Il progetto è cresciuto sempre più fino a trasferirsi in un’ala dell’istituto di istruzione di polizia penitenziaria a Verbania, quindi un ambiente esterno al carcere. Questo ha permesso di poter avere le caratteristiche di sicurezza e igiene per una produzione ampliata”.
Regali di Natale dal carcere
Dal mese di agosto “per noi inizia il momento clou dell’anno”, spiega Brignone, “perché è quando iniziamo la produzione per il Natale. Da quel mese gli inserimenti lavorativi alla Banda Biscotti aumentano sempre, di almeno tre unità. Nei mesi di agosto, settembre, ottobre, novembre, fino a dicembre, ci sono questi picchi di vendite proprio per la grande richiesta non solo di biscotti ma anche di panettoni durante il periodo natalizio”.
Sicuramente “per noi il Natale è significativo perché ci garantisce un 70% del fatturato. Il nostro fatturato significa anche la possibilità di pagare gli stipendi, perché tutti i detenuti sono assunti come dipendenti secondo il contratto collettivo delle cooperative sociali”. Già, perché nonostante ci sia “questo credo diffuso dell’università della strada che i detenuti lavorino gratis”, dice Brignone, non è così: sono stipendiati, con mutua, ferie, contributi pagati. “Per molti di loro questo rappresenta una prima volta, non hanno mai avuto un contratto di lavoro regolare“.
I biscotti: dai barabitt alle galeotte
Il luogo dove c’è il laboratorio una volta era l’istituto minorile cittadino. “In dialetto locale i ragazzini che erano detenuti nel carcere minorile erano chiamati ‘i barabitt’ e per un’associazione il luogo si chiamava ‘i barabitt’. Le nostre nonne dicevano ‘se ti comporti male ti mando ai barabitt’. Mi fa sorridere, perché insomma io poi ai ‘barabitt’ ci sono andata a lavorare”, aggiunge ancora la coordinatrice della Banda Biscotti.
“Questo nome viene ripreso da due dei nostri biscotti, uno senza farina di grano e uno senza uova e senza burro: come i ragazzini detenuti in questo istituto, cui mancava qualcosa, una situazione sociale e familiare strutturata, anche ai biscotti manca qualcosa. Ma sono buoni, sia i bambini che i biscotti” racconta, tradendo un po’ di emozione. “Analogamente abbiamo un biscotto che si chiama galeotte, che vuole essere un incrocio tra galletta e galera, per far risuonare il senso del nostro progetto”, aggiunge ancora Brignone.
La Banda Biscotti impiega a seconda dei periodi dell’anno dalle 4 alle 8 persone detenute o in misura alternativa alla detenzione. “Se consideriamo anche la Gattabuia (ristorante sociale e pizzeria, ndr) e Casa Ceretti (bar e locale), gli altri due progetti della Cooperativa Il Sogno, in totale ci sono 15 persone in detenzione, e fino a 20 se si considera chi è in misura alternativa” spiega Brignone. “Se si considera che nel carcere di Verbania ci sono in media 70 detenuti, su una capienza di 50, il numero è veramente importante. Si tratta di un caso tra i pochi in Italia”.
I detenuti impiegati nei progetti devono avere il beneficio dell’articolo 21, e quindi poter lavorare all’esterno del carcere. Sono tanti, possono aver commesso reati molto diversi tra loro, e hanno età differenti: al momento ci sono un ragazzo classe 1995, e un adulto nato nel 1958.
“E’ un progetto molto legato alla piramide dei bisogni – spiega ancora Brignone – alla base ci sono l’aspetto economico e l’uso del tempo, il fatto di dare valore a un vero e proprio lavoro. C’è poi una questione più identitaria, e anche di responsabilità, poiché ci si sente parte di un progetto e si impara, tra le altre cose, che il proprio lavoro serve a pagare gli stipendi di tutti”. Insomma, si mescolano diversi elementi molto importanti, “legati anche alla rieducazione del condannato prevista dalla nostra Costituzione“, conclude Brignone.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata