Gli investigatori setacciano profili tik tok e Instagram: nelle immagini si vedono manovre di 'accerchiamento' dei barchini
Indagini in mare ma anche sulla rete per gli investigatori siciliani che si occupano del fenomeno della pirateria nel Mediterraneo ai danni dei barchini dei migranti. Dopo i 6 arresti con custodia cautelare in carcere emessa ieri dal gip di Agrigento Stefano Zammuto nei confronti di un equipaggio tunisino, sui social spuntano i video degli assalti che mostrano “evidenze di condotte predatorie”, spiega un investigatore pur utilizzando cautele. Da un profilo tik tok tunisino – qualche centinaio di follower e una serie di contenuti che riguardano le migrazioni via mare verso l’Italia tanto da avere una bandiera tricolore accostata a un cuore nel nickname – è stato pubblicato un filmato di pochi secondi che mostra un barchino in ferro di 6-8 metri con a bordo 30-40 persone che subisce una manovra di accerchiamento da parte di due pescherecci (quelli che potrebbero essere i pirati) nonostante tenti di resistere. È una manovra quasi militare con l’arrivo da poppa e da prua delle due imbarcazioni tagliando la rotta al barchino e passando a distanza ravvicinata, una decina di metri, mentre i marinai fanno il gesto di fermarsi e tranquillizzarsi. Dinamica identica a quella ricostruita dalla Procura di Agirgento, squadra mobile, Guardia di Finanza di Lampedusa e del Roan di Palermo nelle ultime due operazioni che in 20 giorni hanno portato in carcere 10 pescatori nord africani accusati di pirateria internazionale per la prima volta in Italia.
Dal profilo tik tok tunisino si può risalire ad altri account su social differenti (Instagram, Facebook) in cui sono pubblicati video simili dove è difficile distinguere se si tratti realmente di assalti in mezzo al mare oppure della tradizionale tecnica della ‘nave madre’ che scorta un barchino fino ai confini delle acque italiane per poi lasciarlo andare verso la costa. Oppure di entrambe le ipotesi in uno scenario dove il trafficante che aiuta a effettuare un viaggio verso l’Europa e il pirata che deruba le vittime in mezzo al mare può essere la stessa persona in momenti differenti.Usano cautela gli inquirenti sulla possibilità di utilizzare video pescati da profili social di cui non si conosce la reale identità: ci sono problemi giuridici, di datazione e di identificazione delle persone coinvolte all’interno, oltre ad alcuni precedenti del passato in cui i social network hanno portato a pesanti errori giudiziari e scambi di persona, come il celebre caso del ‘Generale Mered’ processato a Palermo che sarebbe stato a capo del traffico di uomini dall’Eritrea e Corno d’Africa ed arrestato in Sudan in un’operazione congiunta Italia-Regno Unito. Scandagliare la rete alla ricerca di informazioni su trafficanti e pirati in Tunisia e nel Maghreb è un’attività più d’intelligence che di polizia giudiziaria ma comunque una “strada” che si può “attenzionare” nonostante sia “complicato”.
Fra i vari aspetti che colpiscono sui video che girano e mostrano gli assalti o le fughe, i commenti in arabo sotto ai profili: “Barche della morte fatte di ferro”, scrive qualcuno. “Questi sono gli agenti del diavolo” o ancora “allenatori della morte”. Una lunga sequela di preghiere e auspici: “Possa Allah proteggerli e farli arrivare sani e salvi – scrive un utente parlando di una quarantina di persone che affrontano il mare su barche più similia a delle zattere – Profeta Maometto, Buona fortuna. È come se vedessi mio fratello”. C’è infine chi si pone il problema della caretteristiche tecniche dell’imbarcazione: “Motore 40 – si legge in un commento dopo l’inquadratura dello Yamaha fuori bordo da 40 cavalli – che Dio abbia pietà di te”.
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