L'intervista al presidente di Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie. Su Messina Denaro: "Sua latitanza favorita da latitanza della politica"
Giustizia. Quella che manca “all’80% dei familiari” delle vittime innocenti delle mafie in Italia. Una giustizia che “in un Paese civile non può rispondere a logiche di vendetta”, nemmeno per i mafiosi, nemmeno per Alfredo Cospito, rinchiuso al 41 bis. Giustizia per i morti di Cutro. E per le vittime delle stragi collegate a Messina Denaro. Alla vigilia della XXVIII Giornata della memoria e l’impegno per le vittime innocenti delle mafie, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie, chiarisce a LaPresse: “Bisogna chiedere giustizia. Se manca quest’impegno, la memoria rischia di diventare un innocuo e inutile protocollo, una celebrazione che non graffia le coscienze, una cerimonia fine a se stessa. Questo rischio lo denunciammo ventotto anni fa, quando si svolse la prima Giornata, e ancora oggi lo denunciamo”.
La manifestazione nazionale per il 21 marzo si tiene quest’anno a Milano. Dopo 13 anni, l’ultima qui fu nel 2010, si torna al Nord. Qui le mafie hanno “le forme di un’impresa criminale che inquina e condiziona il sistema economico con enormi ricadute sociali – spiega Ciotti a LaPresse -. Le mafie sono realtà internazionali che, negli ultimi trent’anni, hanno approfittato degli ampi margini d’azione garantiti da un sistema economico che pone il profitto come valore assoluto, a scapito della giustizia sociale, della dignità e libertà delle persone. Complice una politica che, salvo eccezioni, si è piegata ai potentati e ai monopoli economici tradendo la sua missione di custode e promotrice del bene comune”. Questo ‘piegarsi’ della politica è quello che ha permesso anche la latitanza, ad esempio, di Matteo Messina Denaro: “La trentennale latitanza del boss è stata indubbiamente favorita dalla contestuale latitanza di quella politica che non ha capito, o finto di non capire, che le mafie non si contrastano solo con le indagini e gli arresti, ma prima ancora con le politiche sociali e il superamento di un modello economico che è stato per tutte le mafie terreno di conquista e di razzia” spiega Ciotti. “C’è una convergenza stretta tra crimine mafioso, reato economico e diserzione etica della politica – dice a LaPresse il presidente di Libera e del Gruppo Abele – le mafie, non solo Cosa Nostra, non sono più riducibili ai loro ‘capi’ avendo sviluppato un modello organizzativo reticolare che prescinde da figure o ruoli insostituibili, essendo un modello impostato in base alla logica dell’interscambiabilità. È quel sistema che va debellato, al di là dei singoli arresti”. Si augura che il superboss parli? “Di cuore, per i famigliari delle vittime di omicidi di cui non sono ancora chiare le dinamiche, i mandanti, i complici – dice Ciotti – . Ma lo auguro anche a Messina Denaro: assumersi la responsabilità della morte inflitta e del dolore inferto, e chiedere umilmente perdono, è il solo modo per dare senso e luce a esistenze ottenebrate dalla violenza e dalla menzogna”.
A Milano, oltre ai nomi delle più di mille vittime delle mafie, saranno letti anche i nomi dei migranti morti a Cutro. “Quella strage – perché di strage si tratta – è figlia dell’ingiustizia di un sistema globale che condanna una parte cospicua di umanità a scappare dalla miseria e dai conflitti che quello stesso sistema determina”, dice Ciotti. “Le mafie approfittano della mercificazione globale delle vite, della riduzione delle persone a strumenti di profitto. Non esisterebbero, le organizzazioni criminali, in un mondo che avesse coerentemente e concretamente realizzato gli impegni contenuti nella ‘Dichiarazione universale dei diritti umani’. Le migrazioni forzate – di fatto deportazioni indotte – sono indegne di un mondo civile”.
Una riflessione sulla civiltà e la giustizia la impone anche un’altra situazione di attualità, cioè il 41 bis, il cosiddetto ‘carcere duro’. In Italia vi sono sottoposti oltre 700 condannati per mafia ma anche Alfredo Cospito, anarchico in sciopero della fame detenuto a Opera. “La giustizia di un Paese civile non può rispondere a logiche di vendetta”, chiarisce Ciotti. Certo, “sono temi complessi che non ammettono semplificazioni, giudizi impulsivi, sommari, invece di riflessioni profonde, meditate, articolate. Mi limito a dire che, in un Paese civile, la pena del carcere deve mirare al recupero sociale del detenuto, quale che sia il reato commesso. Il 41 bis nasce come misura di isolamento per impedire che, dal carcere, i boss continuassero a governare le cosche, ed è provvedimento ‘emergenziale’ che ha consentito risultati significativi nel contrasto alle organizzazioni criminali. Il che non giustifica, ovviamente, azioni puramente vessatorie lesive della dignità della persona. E questo vale anche per i mafiosi, persone non riducibili ai reati commessi, per quanto gravi siano stati”.
Infine un passaggio su Papa Francesco, a pochi giorni dal decennale del suo ministero: “C’è chi, in questo decennio, ha parlato di Papa Francesco come una figura di rottura, per molti aspetti rivoluzionaria”, spiega il presidente del Gruppo Abele. “La ‘Chiesa povera per i poveri’ di Papa Francesco è una Chiesa purificata dal potere. Su questo il Papa ci ha dato, in questi dieci anni parole e fatti inequivocabili. Ci ha ricordato che il declino delle istituzioni – politiche, spirituali, economiche – inizia quando il potere prende il posto del servizio, e il principio dell’immunità quello della responsabilità. Ma soprattutto ci ha ricordato che la purificazione dal potere deve partire da noi stessi”.
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