L'intervista a Umberto Ambrosoli, figlio del liquidatore della Banca d'Italia Giorgio, ucciso nel 1979 a Milano. Il 21 marzo la Giornata per le vittime innocenti delle mafie a Milano
“Tredici anni fa ricordiamo tutti lo stupore per frasi assolutorie di autorevoli esponenti delle istituzioni (sul fatto che la mafia al nord non esistesse, ndr). Oggi l’accoglienza della città la dice già lunga sulla sensibilità di Milano al tema delle mafie”. A parlare a LaPresse a pochi giorni dal 21 marzo, XXVIII Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie, è Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio Ambrosoli, ucciso l’11 luglio 1979 a Milano. La manifestazione nazionale del 21 marzo quest’anno si tiene proprio nel capoluogo lombardo. Oggi come nel 2010: allora, però, in molti dichiararono che al Nord le mafie non esistevano. “La consapevolezza sta crescendo. Il nord Italia per la sua economia è terreno di elezione per le organizzazioni criminali, la circolazione di denaro fa di questo territorio il contesto dove i denari di provenienza illecita vengono sfruttati e riciclati” dice ancora Umberto Ambrosoli, che di lavoro è avvocato penalista. Anche suo padre Giorgio era avvocato: il 27 settembre del 1974, a poco più di 40 anni, il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli lo nominò commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana. Il suo mandato era quello di ricostruire le ragioni del fallimento della banca, il cui socio di maggioranza era Michele Sindona. Ambrosoli portò alla luce uno dei più grandi intrecci di finanza, politica, massoneria e mafia che l’Italia abbia mai conosciuto.
Le indagini hanno accertato che Michele Sindona assoldò un killer negli Stati Uniti per uccidere Ambrosoli. Pochi giorni dopo la condanna Sindona muore in carcere, dopo aver bevuto un caffè. “Se prendiamo la verità giudiziaria e ci va bene la dobbiamo prendere tutta. Ho la sensazione che la nostra cultura sia facilmente suggestionata dal fascino che il mistero o il complotto esercitano, distraendo l’attenzione da quello che invece si sa – dice Ambrosoli a LaPresse -. Quello che sappiamo è già abbondante, è molto più interessante di quello che pensiamo di non sapere. Non sono affascinato da anomali fili rossi, prendo atto delle risultanze giudiziarie e faccio i conti con questo”.
La storia di suo padre è unica tra i nomi di vittime innocenti che vengono letti il 21 marzo da Libera. “La sua peculiarità forse era la normalità, l’assenza di qualsiasi eroismo” dice Umberto Ambrosoli. Ma comunque “quella storia ha chiuso una progettualità del male, non ha permesso che si sviluppasse”, dice ancora. Ambrosoli subì pressioni e minacce, alle quali non cedette mai: “Convinto che anche solo facendo bene il proprio lavoro le cose possano cambiare”, dice il figlio.
Sulla presenza delle mafie al Nord aggiunge: “Il crimine organizzato muta e quel mutare più velocemente della reazione delle istituzioni”. E ancora: “La criminalità organizzata nel nord Italia ha iniziato a essere presente con sequestri a scopo di estorsione. Sui sequestri c’è stata una consapevolezza pubblica tradotta in provvedimenti normativi efficaci che nel tempo hanno fatto sparire quel fenomeno, ce ne siamo scordati ma prima succedeva continuamente – dice – Questo ci insegna che bisogna cambiare il metodo di contrasto quando cambia la mafia”.
Difficile, in questo caso, non parlare del 41 bis, il cosiddetto ‘carcere duro’, al quale sono sottoposti i mafiosi in Italia ma anche l’anarchico Alfredo Cospito. 728 persone in totale, solo 4 per terrorismo. “Io dico solo che l’emergenza non può durare in eterno” spiega Ambrosoli. “A livello comunitario ci è già stato detto che forse quella norma non è aderente ai diritti dell’uomo, non facciamone un feticcio assoluto e rispettiamo i delitti di condannato, qualsiasi delitto orrendo abbia commesso”.
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