Open Arms ricorda quanto accaduto l'11 dicembre 2020: il bimbo aveva appena sei mesi, fu salvato in acqua ma morì nell'attesa di essere portato via dall'imbarcazione dell'Ong

Nei giorni in cui il tema migranti è diventato centrale in Europa, Open Arms ricorda una delle morti più tragiche avvenute nel Mediterraneo. L’11 dicembre del 2020 la nave Open Arms, si trovava nel Mediterraneo centrale per la sua Missione numero78. Una missione particolarmente complessa 3 differenti operazioni di soccorso, una delle quali terminata con un drammatico naufragio dopo oltre 24 ore di ricerca. 116 persone stipate in un’imbarcazione di gomma precaria, in mare da oltre 4 giorni, finirono in acqua immediatamente dopo l’arrivo sul posto delle nostre lance. Tra di loro anche il piccolo Joseph (Jusuf), un bimbo della Costa d’Avorio di appena sei mesi che viaggiava insieme a sua madre. I nostri soccorritori, riuscirono, seppur in condizioni drammatiche, a recuperare tutte le persone disperse in acqua, compreso il piccolo Joseph (Jusuf) che fu trasportato sulla Open Arms in condizioni critiche e stabilizzato dai nostri medici a bordo. Dopo aver richiesto un’evacuazione medica urgente ed aver atteso ore prima che l’elicottero fosse in grado di arrivare, le condizioni del bimbo si aggravarono e purtroppo, nonostante gli sforzi dei nostri operatori, non fu possibile salvargli la vita. Il corpo del piccolo fu sepolto nel cimitero dell’isola di Lampedusa.

“Ieri, a due anni da quel drammatico giorno, siamo tornati a Lampedusa, insieme alla mamma Hajay, per ricordare, in una cerimonia privata, la sua vita e quella delle migliaia di persone che continuano ad attraversare il Mediterraneo in cerca di una vita migliore – raccontano dalla Ong – due anni sono passati, ma nulla è cambiato. In questa ultima settimana siamo stati costretti, ancora una volta, ad assistere a uno spettacolo vergognoso messo in scena dalle autorità italiane ed europee sulla pelle di persone vulnerabili, in fuga dalle violenze dei lager libici. Ancora una volta le navi umanitarie sono state al centro di un braccio di ferro politico che ha avuto come protagonisti ministri che hanno preteso di poter selezionare, tra i naufraghi appena soccorsi, chi avesse il diritto di raggiungere un porto sicuro e chi invece dovesse essere respinto in mare aperto in base a criteri del tutto arbitrari e illegali. Uomini, donne e bambini definiti ‘carico residuale’, ‘sbarchi selettivi’ -sottolinea – per esseri umani trattati come oggetti da paesi democratici che dovrebbero invece rispettare i diritti umani e la vita di ognuno.

Proprio tre giorni fa un altro bambino è arrivato a Lampedusa privo di vita a causa delle lunghe ore trascorse in mare al freddo. Siamo qui per dire che deve essere l’ultimo, che le violazioni devono finire, che dobbiamo tornare a considerare prioritario il rispetto della vita e dei diritti di ogni essere umano. È questo l’unico modo per tornare a considerarci donne e uomini con una coscienza e una dignità”, conclude la Open Arms.

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