Il suo decesso è stato comunicato questa mattina al suo difensore, Saverio Senese, con poche, laconiche righe. "Con riferimento al detenuto indicato in oggetto, si comunica che in data odierna alle 7.10 ne è stato constatato il decesso

È morto, nel carcere di Opera, a Milano, Cosimo Di Lauro, il boss 49enne che alle Vele di Scampia aveva portato la guerra tra il suo clan e gli scissionisti. Reggente del padre, il boss Paolo Di Lauro detto ‘Ciruzzo ‘o milionario’, Cosimo non aveva esitato a scontrarsi con le famiglie Amato Pagano per il controllo del territorio e delle piazze di spaccio. Era detenuto dal gennaio del 2005 e nella struttura detentiva milanese era in regime di 41 bis. Alla sua figura è stato ispirato il protagonista della serie ‘Gomorra’, Genny Savastano.

Il suo decesso è stato comunicato questa mattina al suo difensore, Saverio Senese, con poche, laconiche righe. “Con riferimento al detenuto indicato in oggetto, si comunica che in data odierna alle 7.10 ne è stato constatato il decesso. Cordiali saluti”, recitava la comunicazione recapitata al suo legale, l’avvocato Saverio Senese. Ma la sua morte lascia più di un interrogativo.

La Procura di Milano ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per l’ipotesi di omicidio colposo e disposto l’autopsia e una serie di accertamenti medico legali, tra cui gli esami tossicologici per valutare l’ipotesi di un avvelenamento. Solo dopo questi accertamenti sarà possibile avere qualche certezza in più sulle cause della morte del 49enne, deceduto nella notte.

Da tempo Cosimo Di Lauro “non comunicava praticamente con nessuno. Aveva anche rifiutato di incontrare la madre quando era andata a trovarla in carcere ad Opera”, racconta il suo legale.

“Mai una volta in tutti questi anni Cosimo Di Lauro ha voluto difendersi nei tanti processi che si sono celebrati a suo carico dal 2005 ad oggi”, ha detto l’avvocato che l’ultima volta lo aveva incontrato in carcere a Rebibbia. “Mi era parsa un persona fortemente disturbata, con lo sguardo perso nel vuoto, trasandato e trascurato”, ha sottolineato il difensore che in quei comportamenti aveva letto “i sintomi di un forte disagio psichico”. Disagio confermato anche da una perizia di parte, depositata nel 2008, nella quale si parlava di ansia, disturbi mentali e comportamenti bizzarri come allucinazioni uditive e turbe del sonno.

Nonostante i difensori di Di Lauro abbiano chiesto in diversi processi venisse verificata la capacità di intendere e volere del loro assistito, le istanze sono sempre stata rigettate, ritenendo il figlio del boss di Secondigliano “un simulatore”.

Prima di finire in carcere, Cosimo Di Lauro era accusato di aver commesso o ordinato numerosi omicidi. In particolare, era stato condannato all’ergastolo per la morte di Massimo Marino, detto ‘Makkey’, cugino del boss Gennaro Marino, braccio destro di Paolo Di Lauro, sospettato di aver tradito il clan. Proprio dalla sua morte aveva preso il via la faida di Scampia, che per anni ha insanguinato il quartiere. Cosimo Di Lauro aveva ordinato l’epurazione completa degli scissionisti e la morte di tutti i membri della famiglia Marino. Condannato all’ergastolo anche per l’omicidio di Mariano Nocera, uomo del clan Abete-Abbinante. Il reggente del clan Di Lauro era anche accusato di essere il mandante dell’assassinio di Carmine Attrice, che era stata uccisa per evitare che il figlio morisse nella guerra tra clan. Era stato assolto, invece, dall’omicidio di Gelsomina Verde e dall’omicidio di Attilio Romanò, vittime innocenti della camorra.

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