I genitori Paola e Claudio in Aula: trentanove su sessantaquattro richieste di rogatoria inviate dall'Italia all'Egitto sono rimaste senza risposta

Si è aperto nell’aula bunker di Rebibbia, davanti alle Terza Corte d’Assise di Roma, il processo per l’omicidio di Giulio Regeni. In aula i genitori del ricercatore ucciso, Paola e Claudio, e la sorella Irene. Oltre alla famiglia, già parte civile nel procedimento, la presidenza del Consiglio dei ministri ha depositato istanza per la costituzione di parte civile. In aula non è presente nessuno dei quattro 007 egiziani coinvolti e il nodo dell’assenza degli imputati sarà il primo da sciogliere in apertura del procedimento. 

I pm: Gli 007 egiziani si sottraggono da cinque anni

“Siamo in presenza di una volontaria sottrazione al processo che va avanti da 5 anni”. Così il pm Sergio Colaiocco durante il processo per la morte di Giulio Regeni, in riferimento ai quattro 007 imputati per la morte del ricercatore friulano. Gli imputati “sanno perfettamente del processo che si apre oggi”, e “hanno posto in atto sistematicamente azioni per bloccare le indagini, rallentarle ed evitare che il procedimento italiano andasse avanti”, sostiene Colaiocco. Lo hanno fatto loro e i loro colleghi, sostiene, aggiungendo che “non esiste su questo una sola prova regina”, ma una serie di elementi, 13, fanno emergere come la volontà sia sempre stata quella di sottrarsi:” fanno finta di essere inconsapevoli”. “Non solo sanno del procedimento ma vi si sottraggono”. Il diritto alle notifiche e all’elezione di domicilio degli imputati, chiosa, “non può essere strumentalizzato per sottrarsi volontariamente a un processo”. Trentanove delle 64 richieste di rogatoria inviate dall’Italia in Egitto, nell’ambito delle indagini sulla morte di Giulio Regeni, sono rimaste senza risposta. È quanto evidenzia il pm Sergio Colaiocco nel corso dell’udienza a Rebibbia. 

La ricostruzione

Il nodo dell’assenza degli imputati sarà il primo da sciogliere in apertura del processo per l’omicidio di Giulio Regeni. Si tiene oggi la prima udienza, nell’aula bunker di Rebibbia, la Terza Corte d’Assise inizierà i lavori valutando le ragioni dell’assenza dei quattro 007 egiziani imputati. Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, sono tutti accusati di sequestro di persona, mentre Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell’omicidio del ricercatore friulano ucciso nel 2016 a Il Cairo. Solo se verrà stabilito che i quattro si sono ‘volontariamente sottratti’, il giudizio potrà entrare nel vivo. In aula ci saranno anche i genitori del ricercatore, Paola e Claudio Regeni, che da quasi sei anni si battono perché venga fatta piena luce sulla morte del figlio.

La coppia ha già fatto sapere che chiameranno a testimoniare al processo i presidenti del Consiglio che si sono succeduti nel corso di questi anni: Matteo Renzi che lasciò l’incarico a Paolo Gentiloni a dicembre del 2016 e poi anche Giuseppe Conte e lo stesso Mario Draghi. Nella lista dei testimoni anche i rispettivi ministri degli Esteri e i sottosegretari con delega ai servizi d’intelligence. 

Come nell’udienza preliminare, la prima questione all’attenzione dei giudici sarà dunque quella dell’irreperibilità e la mancata notifica agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi utili a dare notizia degli atti del processo. Nel maggio scorso, il gup Pierluigi Balestrieri ha sottolineato che “la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”, dunque gli imputati non possono non sapere del processo a loro carico.

Giulio venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Da allora si sono susseguite bugie, false piste e ricostruzioni che, da parte egiziana, hanno sempre cercato di screditare la vittima: all’indomani del ritrovamento del cadavere si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l’aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo del 2016 arrivò l’ennesima ricostruzione non credibile e questa volta c’erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.

Secondo la ricostruzione della procura di Roma, il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento. Le analisi sui tabulati hanno messo in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si erano occupati di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l’omicidio.

La procura di Roma è convinta che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.

 

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