L'ex procuratore di Palermo e Torino parla a 40 anni dall'assassinio di Aldo Moro per mano delle Br
"Ci sono ancora nostalgici del terrorismo. E ricordare la violenza spietata delle Br serve perché l'oblio e l'amnesia non coprano tutto, come purtroppo rischia di accadere". È il monito di Gian Carlo Caselli, l'ex procuratore di Palermo e Torino, a lungo occupatosi di inchieste sul terrorismo, sulle Brigate Rosse e su Prima linea, intervistato da LaPresse in occasione del quarantennale dell'assassinio di Aldo Moro per mano delle Br il 9 maggio 1978.
Cosa ha significato questa vicenda per la storia politica italiana?
Una tragedia umana, che rimane incancellabile. Il dolore e la sofferenza dei familiari non scompariranno mai. Su questo versante il bilancio è purtroppo assolutamente negativo. Per cui si fatica a dirlo, ma è pur vero che sul piano politico il rapimento Moro è stato un fallimento e ha segnato l'inizio della fine delle Brigate Rosse. Volevano scatenare una sollevazione generale di tutti i gruppi armati; nessuno invece si è mosso. Volevano il riconoscimento da parte dello Stato come soggetto politico e non l'hanno ottenuto. L'esito del sequestro, un fallimento politico appunto, ha scavato al loro interno divisioni e fratture che portarono al crollo verticale dell'organizzazione.
Maria Fida Moro, figlia dello statista, è stata critica sul quarantennale. Le celebrazioni hanno una reale funzione?
Non devono essere un rito vuoto. Servono se aiutano a ricordare, facendo memoria di quel che è stato, anche perché non abbia mai più a ripetersi. Ci sono studi e ricerche che provano come moltissimi giovani non sappiano nulla delle Br e di Moro e confondano anzi le Brigate Rosse con la mafia.
Come hanno scelto le Brigate Rosse i momenti in cui colpire?
Le Br hanno dimostrato quel che io chiamo 'subalternità politica'. Le impennate della loro offensiva criminale si sono verificate sempre in momenti particolarmente delicati nella storia del nostro Paese. Quando l'Italia faticosamente con discussioni e contrasti ha dimostrato di voler cambiare. Il primo attacco al cuore dello Stato avviene nel 1974, con il sequestro del magistrato Mario Sossi, nel bel mezzo di un referendum sul divorzio. Il secondo più pesante attacco è avvenuto nel 1976, con l'omicidio del procuratore generale di Genova Francesco Coco e degli uomini di scorta Giovanni Saponara e Antioco Dejana. Il '76 è un anno di elezioni amministrative che hanno registrato per la prima volta nel nostro Paese il passaggio ad amministrazioni di sinistra in molte importanti città. Di nuovo un Paese che dava segni di voler cambiare. La più feroce impennata criminale c'è stata col sequestro Moro nel 1978, esattamente nel giorno in cui il parlamento italiano approvava una nuova maggioranza di unità nazionale alla quale avevano lavorato lo stesso Moro ed Enrico Berlinguer. Ancora una volta, intervenendo in una fase in cui il Paese voleva cambiare, le Br dimostrarono di essere subalterne, parassitarie, cioè di non avere una linea politica autonoma, a dispetto di tutte le fumisterie ideologiche e delle loro 'risoluzioni strategiche'. Di più, uno degli effetti nefasti del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana è stato anche il blocco del cambiamento in atto. Un blocco di cui forse paghiamo le conseguenze ancora oggi.
La ex Br Barbara Balzerani ha recentemente detto che 'essere vittima è diventato un mestiere'. Siamo lontani da una riconciliazione?
Si è trattato di frasi vergognose e assolutamente inaccettabili. Il figlio del vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno, ucciso dalle Br nel 1977, ebbe a dire che 'si può diventare ex terroristi, ma non si diventa mai ex assassini'. La Balzerani ha dimostrato come sia addirittura possibile restare terroristi con la violenza delle parole, cui non seguono uccisioni o gambizzazioni soltanto perché manca ormai la possibilità di rinnovare queste azioni vigliacche. Ma la testa della Balzerani appare ancora piena di una ideologia pseudo rivoluzionaria e di un fanatismo che tutto consente, addirittura il dileggio e gli insulti alle vittime.
Il memoriale di Aldo Moro che domande lascia aperte?
Ci sarebbero moltissime cose da dire. La principale mi sembra che le Brigate Rosse in uno dei loro primi volantini avevano promesso al popolo che avrebbero rivelato tutto ciò che Moro avesse detto nel corso del 'processo'. In verità non hanno detto mai niente. E dire che nel memoriale c'erano un sacco di rivelazioni (ad esempio su Gladio, su Andreotti, sui Servizi) che i terroristi avrebbero potuto utilizzare nella loro logica criminale per spaccare il fronte avversario, inserendosi poi nelle fenditure così causate, provocando un sconquasso istituzionale. Non lo hanno fatto per niente. E quando al brigatista Mario Moretti è stato chiesto perché, la sua risposta è stata sconcertante: 'non avevamo capito'. Ma se un sedicente 'rivoluzionario' non capisce quel memoriale allora avrebbe dovuto fare un altro 'mestiere'. Oppure non la racconta giusta. E questo è un interrogativo pesante.
Qual è stato il valore che l'ha ispirata da magistrato?
Nella lotta contro il terrorismo, come in quella alla mafia, e contro qualunque forma di illegalità, la magistratura si è ispirata al principio che in democrazia la violenza non risolve nessun problema, ma anzi aggrava quelli esistenti. Inoltre la magistratura ha operato in base al principio di legalità. Le Brigate Rosse volevano abbattere proprio questo principio, sconfiggendo così la democrazia e determinando un'involuzione e un imbarbarimento del sistema. La sconfitta del terrorismo ha salvato la convivenza civile e la nostra democrazia.
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