Il presidente Cnsas chiede un 'tavolo' di dialogo e confronto con tutti i soccorsi in ambienti impervi o estremi per sviluppare dei chiari accordi operativi tra tutte le forze in campo

Comanda un esercito di circa settemila tecnici, presenti in tutte le regioni italiane, dalla Val d'Aosta alla Sicilia. Ogni anno effettuano oltre ottomila interventi, sulle cime più alte o negli abissi più profondi. "Ma di fatto i nostri interventi sono ben di più", sottolinea il presidente nazionale del Soccorso alpino e speleologico (Cnsas), Maurizio Dellantonio, negli scorsi giorni a Udine, "dal punto di vista statistico, infatti, la terribile valanga di Rigopiano – circa 400 persone impegnate nelle ricerche e nei soccorsi, dal 18 al 26 gennaio scorsi – corrisponde a un solo intervento". "Siamo attivi e pronti 365 giorni all'anno, 24 ore su 24 in tutti gli scenari montani – spiega Dellantonio, trentino della Val di Fassa, una vita alla Scuola alpina della polizia di Moena – e io, come presidente, anche in quello, di sicuro per me molto meno usuale, dei ministeri romani".

"Godiamo dell'appoggio e dell'apprezzamento di tutti i cittadini, indubbiamente. Il mio lavoro di presidente mi porta però anche a essere di stimolo alla politica, perché il nostro fondamentale operato sia tutelato e supportato nel migliore dei modi, e anche per evitare che il Soccorso alpino venga espropriato di attenzioni e competenze, cosa che fortunatamente non è accaduta. Serve dunque un'interlocuzione attenta con il mondo della politica e con i ministeri a noi tecnicamente più vicini, come quello degli Interni e della Salute. Per questo sono spesso a Roma", racconta, ricordando ad esempio i suoi frequenti viaggi nella capitale anche in occasione dell'approvazione a fine maggio del decreto Madia, "che viene a ribadire, di fatto e di diritto – puntualizza Dellantonio -, le competenze specifiche ed esclusive del Cnsas nei soccorsi in montagna e in grotta". Anche per questi motivi, spiega il responsabile di 242 stazioni di soccorso alpino e 27 stazioni speleologiche – la prima sezione di fatto fu quella di Torino, subito dopo, negli Anni 20 del secolo scorso, quella di Trieste dell'Alpina delle Giulie -, "continuo a credere opportuno se non addirittura necessario un 'tavolo' di dialogo e confronto con tutti gli attori che in Italia si occupano di soccorsi in ambienti impervi o estremi, come la montagna: è un concetto che ho ribadito più volte in diverse sedi istituzionali, con il fine ultimo di sviluppare dei chiari accordi operativi tra tutte le forze in campo. Ritengo sia il caso di farlo, sia per tranquillizzare i nostri utenti, la gente e i turisti che frequentano i nostri monti, sia per cercare di razionalizzare le spese". Il tutto servirebbe anche, evidenzia Dellantonio, ad avvicinare più giovani al Soccorso alpino: "Nonostante tutto, abbiamo qualche difficoltà nel cambio generazionale del soccorritore alpino, che deve essere fisicamente e tecnicamente preparatissimo. Per questo vogliamo sempre più rivolgere la nostra attenzione al mondo della scuola, oltre ovviamente al bacino per noi tradizionale e consolidato delle sezioni del Club alpino italiano". 

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