Intervista allo scrittore vincitore dell'ultimo Premio Campiello con 'L'ultimo arrivato', storia di un piccolo emigrante italiano degli anni '50

Le vicende che negli ultimi anni hanno segnato la vita (e la morte) di migliaia di migranti in Italia "ci mettono di fronte a una forte mancanza di politica, di collaborazione delle istituzioni nazionali ed internazionali", sono un "banco di prova" su cui l'Europa si sta rivelando "davvero troppo debole". Non va per il sottile Marco Balzano, scrittore vincitore dell'ultimo Premio Campiello con 'L'ultimo arrivato', storia di un piccolo emigrante italiano degli anni '50, che si confronta con LaPresse su un tema a lui caro. "Una parte d'Italia – denuncia – ha la memoria troppo corta e si è già dimenticata di quando a emigrare a milioni eravamo noi".

Migliaia di bambini emigranti che provengono da zone di guerra sono pronti a sbarcare sulle nostre coste pugliesi, in cerca di un futuro migliore. Ma la Puglia sembra non essere pronta a questi numeri. Che storia sarà?

Non è facile prevederlo, anche perché non siamo di fronte a una storia ma a grumi di storie, che come tutte le storie degli uomini sono vicende uniche e personali. Quella che rischia di ripetersi è piuttosto la Storia: le vicende di questi mesi, anzi di questi anni, ci mettono di fronte a una forte mancanza di politica, di collaborazione delle istituzioni nazionali ed internazionali su cui Lampedusa, la Puglia, le isole greche dovrebbero poter contare e avvertirne la vicinanza.

L'Europa è attraversata da spinte xenofobe fortissime. L'Italia, Paese storicamente di emigranti, sta diventando sempre più un Paese che accoglie immigrati. Come è cambiata la nostra cultura dell'accoglienza?

Bisogna distinguere lo spirito di accoglienza della gente comune dalla capacità di accoglienza delle istituzioni. Spesso la gente si è rivelata più avanti delle istituzioni: mentre i governi decidevano che fare, dove metterli, come gestirli, come farli spostare, c'erano persone comuni – penso ai Lampedusani, ai milanesi quando la stazione Centrale era invasa dai siriani – che si è rimboccata le maniche e si è fatta avanti per portare concreta solidarietà. L'Europa è una meta agognata da tutti perché conosce da secoli il valore dell'accoglienza e perché è uno dei pochi posti dove i diritti esistono veramente. Bisogna insistere su questi elementi culturali, di matrice illuministica, e non farsi annebbiare la vista da chi grida 'al lupo al lupo!'.

Che impressioni le fanno i barconi della speranza che solcano il Mediterraneo?

Un'impressione dolorosa: per la sofferenza di chi si imbarca e per la miopia di un'Europa che reagisce con una fuga in ordine sparso e col si salvi chi può.

 

Che cosa dovrebbe fare l'Europa? Chiudere le frontiere può essere una soluzione?

Pensare di cavarsela alzando dei muri è la scelta non solo moralmente più sbagliata, ma non è nemmeno una soluzione efficace per nessuno, credo lo sappiano anche quelli che i muri li vogliono costruire (o dicono di volerlo fare per tornaconto elettorale). Nessun muro fermerà gli emigranti. Quello di cui c'è bisogno è di una seria politica di cooperazione internazionale per la distribuzione e la gestione degli arrivi e di una seria riflessione culturale su come si può fare accoglienza e integrazione. Io penso che bisogna estendere i diritti per spingere chi li ottiene alla responsabilizzazione dei propri doveri. 

Viene da una famiglia di origini pugliesi, regione che ricorda ancora l'esodo dei migranti albanesi degli anni '90. L'ha vissuto attraverso i racconti della sua famiglia?

Frequentavo le scuole medie. Nel giro di qualche settimana la viuzza del paese di mia nonna, in provincia di Foggia, si è riempita di albanesi che sono andati ad abitare in una casa sfitta e cadente a pochi metri da lei. Gli anziani della via erano terrorizzati, mia nonna un giorno li ha invitati a pranzo tutti e dieci: ha preparato bruschette e messo in mezzo al tavolo poco vino e molta acqua. Da allora si è guadagnata dieci guardie del corpo che ogni tanto passano a salutarla e a chiederle se ha bisogno di qualcosa. So che la realtà è molto più complicata di questo aneddoto, ma è vero anche che certe volte superare la diffidenza iniziale – che sempre ci suscita la diversità quando non abbiamo gli strumenti culturali per codificarla – può portare qualche sorpresa.
 

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