Milano, 28 dic. (LaPresse) – La cattiva notizia, l’ennesima in questi giorni di smog, è che non basta chiudersi in casa per evitare l’esposizione alle polveri sottili e agli agenti inquinanti. Quella buona, è che – in attesa di politiche che favoriscano il miglioramento della qualità dell’aria nelle città – qualcosa, a livello domestico, si può fare anche singolarmente. “Per ridurre quelle che sono le sorgenti interne alle nostre abitazioni, è importante fare attenzione alle fonti di combustione, dai caminetti che devono aspirare bene fino ai fornelli, passando per sigarette, candele e incensi”, spiega a LaPresse il professor Paolo Carrer, docente dell’Università di Milano e direttore dell’unità operativa di Medicina del lavoro dell’Ospedale Sacco.

Il progetto Pm-Care, una ricerca finanziata dal ministero per l’Università e la Ricerca, con la partecipazione dell’ateneo e dell’ospedale, ha consentito tra il 2004 e il 2007 di monitorare l’esposizione alle polveri dal punto di vista dei singoli, un dato differente da quello normalmente osservato attraverso le centraline.

“Abbiamo chiesto a un centinaio di persone, tra cui una sessantina di nostri pazienti, di girare con un trolley che conteneva campionatori dell’aria, compresi dei rilevatori di polveri sottili”, ricorda Carrer, evidenziando i risultati ottenuti, attualissimi in questi giorni di sistematico superamento delle soglie di inquinamento. “Stare in ambienti indoor – prosegue – non ci protegge. Nei locali sono stati registrati livelli analoghi o superiori rispetto all’interno”. A causa delle fonti interne, appunto, ma anche della presenza stessa di persone: è il caso ad esempio degli edifici scolastici, presi in considerazione in uno studio successivo, dove ad aumentare l’esposizione alle polveri è il calpestio dato dal movimento dei bambini.

“Un aspetto delicato è dato dal fatto che con polvere si intende tutto ciò che è microscopico, ma quello che dà la tossicità è la composizione chimica. Un conto è la polvere prodotta dallo sbattere i panni, un conto quella prodotta da un diesel”, puntualizza comunque il professore. Un dato di fatto è che gli studi compiuti sui meccanismi che si attivano nel corpo umano in presenza di alte quantità di particolato presentano un’omogeneità con gli studi epidemiologici, che vedono la concentrazione delle polveri andare di pari passo con l’aumento dei ricoveri per problemi cardiovascolari. “In persone più esposte si osserva l’attivazione della cascata della coagulazione. Cioè si attivano processi che portano alla formazione di coaguli e che possono favorire la formazione di determinate malattie”, precisa Carrer. Nello specifico, a essere colpiti nel breve termine sono tipicamente i soggetti con delle patologie cardiovascolari sottostanti. Ma gli effetti ci sono anche a lungo termine, e possono valere per tutti.

“Anni di esposizione portano, alla lunga, sia ad avere un maggiore rischio di malattie croniche a livello respiratorio, compreso il tumore al polmone, sia a malattie cardiovascolari come l’aterosclerosi, che hanno poi il loro evento acuto nei casi di angina e infarto”, aggiunge il professore, sottolineando che “vivere in città è ormai un ulteriore fattore di rischio per le malattie cardiache. Il fattore ambientale si aggiunge a quelli dati, ad esempio, dalla familiarità o dall’alimentazione”. Se a migliorare l’aria nelle città non possono che essere interventi di sistema, al singolo rimane in definitiva la possibilità di non aggravare la situazione, evitando appunto di aggiungere altre fonti di esposizione. Come spesso accade, anche in questo caso il primo punto di riferimento è il buonsenso. “Una cosa è accendere un incenso ogni tanto, un conto è avere la mania e tenere accese cinque candele alla volta, o avere tre fumatori in casa. Per il particolato, è bene soprattutto rinunciare alle sigarette e controllare che il camino funzioni bene”, conclude Carrer.

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