Roma, 4 dic. (LaPresse) – I sequestri di supermercati, terreni, aziende agricole e d'allevamento sono solo la punta di un iceberg del business che la criminalità sviluppa nell'agroalimentare nazionale dove gli interessi si estendono dal campo alla tavola, per un volume di affari stimato in 15,4 miliardi. E' quanto afferma la Coldiretti nel commentare il sequestro di beni a quattro persone ritenute fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro, in gran parte nell'agricoltura e nell'alimentare. Le mafie – sottolinea la Coldiretti – investono i loro ricchi proventi illeciti in attività agricole, nel settore della trasformazione alimentare, commerciale e nella grande distribuzione. Secondo l'analisi dell'Osservatorio sulla criminalità nell'agroalimentare promosso dalla Coldiretti con il comitato scientifico presieduto da Gian Carlo Caselli, le agromafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell'imprenditoria legale dato che è peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell'economia invadendo i settori che si dimostrano strategici, come quello agroalimentare.

 

 

 

 

 

Mettendo le mani sul comparto alimentare, spiega Coldiretti, le mafie hanno la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio, dall'intermediazione nel commercio della frutta alla produzione di olio di oliva. Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli, la criminalità organizzata si muove con maggiore facilità rispetto all'imprenditoria legale.

 

 

 

 

 

Per raggiungere l'obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l'imprenditoria onesta, ma – conclude Coldiretti – compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l'effetto indiretto di minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

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