Città del Vaticano, 23 nov. (LaPresse) – “Quando ho visto il dispositivo del rinvio a giudizio del processo in Vaticano ho pensato che era meglio lasciar perdere, rinunciare a qualsiasi difesa, tanto partendo da quei presupposti tutto sarebbe stato inutile. Ho pensato che potevano fare quello che volevano. Che la giustizia non è mai di questo mondo”. Lo scrive sul suo profilo Facebook Francesca Chaouqui, imputata in Vaticano per diffusione di notizie riservate.
“Ero rimasta così male che neanche volevo più andarci al processo, tanto più che il Vaticano – aggiunge – non ha ammesso l’avvocato Bongiorno come mio difensore, nonostante precedentemente lei avesse sempre ottenuto il permesso di patrocinare altre cause davanti allo stesso tribunale.
“Martedì vado a difendermi al processo – afferma Chaouqui -, a dimostrare che mai un solo foglio è passato dalle mie mani a quelle di un giornalista, uno qualsiasi, non solo Emiliano o Gianluigi.
Forse non servirà a niente, ma mi batterò come un leone affinché la verità emerga. Possono condannarmi ma se lo faranno sappiate che mai potranno produrre una sola prova che un solo foglio sia stato portato o consegnato da me a chiunque non fosse un mio referente nella commissione, il Santo Padre stesso o il suo Staff”.
“Chi mi segue su questo social sa che ogni volta che raccontavo qualcosa della mia esperienza presso la Santa Sede usavo il tag #piùdituttoalmondo perché niente, nessuna cosa, lavoro, relazione, situazione era più importante dell’aiutare il Pontefice. È ancora così – conclude -. O non mi sottometterei ad processo basato su regole del 1923, in fondo sono una cittadina italiana a cui niente può essere imposto da OltreTevere finché resto sul suolo italiano”.
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