Di Benedetta Dalla Rovere
Bergamo, 18 set. (LaPresse) – Quando il 26 febbraio 2011 Ilario Scotti ritrovò per caso il corpo di Yara Gambirasio in un campo di Chignolo d’Isola (Bergamo), un uomo calvo di circa 50 -55 anni parcheggiò la macchina ai margini del terreno incolto e lo fissò per almeno 10-15 minuti.
L’uomo misterioso “indossava un giubbetto del tipo che usano i pensionati”, ha ricordato l’impiegato di Bonate di Sotto (Bergamo) con la passione dell’aeromodellismo, che si recava abitualmente in quel campo – a pochi passi dalla discoteca Sabbie Mobili, frequentata anche da Massimo Bossetti – per far volare i suoi aeroplanini.
Sentito come testimone nel processo a carico del muratore di Mapello, Scotti ha spiegato che l’uomo, “poco più alto della sua utilitaria”, per guardare meglio cosa stesse accadendo “è salito su un panettone di cemento che delimitava il campo” e si è allontanato “solo quando ha sentito le sirene” delle auto della polizia, che Scotti aveva chiamato. Chi era? Perché si trovava di sabato pomeriggio in una zona frequentata da poche persone, ad eccezione della prostitute e dei loro clienti che erano soliti appartarsi proprio in quella zona? È uno dei tanti quesiti a cui le indagini sulla scomparsa della ragazzina di Brembate di Sopra finora non hanno saputo dare risposta.
Scotti ha anche ricostruito in aula le circostanze “fortuite” che hanno permesso di ritrovare il corpo della piccola ginnasta. “Ho lanciato il mio aeromodello ma avevo il vento contrario e il mio apparecchio ha fatto una lunga virata verso destra” per poi fare un “atterraggio di fortuna” a circa 200 metri dall’inizio del campo, ha raccontato in aula. A qual punto Scotti si è addentrato nel terreno “incolto, pieno di erbacce e di rovi” e ha cercato di recuperare il suo modellino. “Quando l’ho preso, mi sono girato e due o tre metri di distanza ho visto quello che a prima vista mi è sembrato un mucchio di stracci. Poteva esserlo, ma invece era un cadavere”, ha spiegato l’impiegato che ha subito avvisato il 113. “L’operatore mi ha chiesto di che colore ha le scarpe? Nere, ho risposto. E il giubbotto? Nero. Ha una sciarpa? Sì, marrone. A quel punto mi ha detto di non muovermi che sarebbero arrivati subito”. “Io non mi sono spostato – ha aggiunto – la vegetazione era alta tutto intorno al corpo e già un metro più in là e non si vedeva più nulla”.
Questa mattina in aula si è presentata anche la sorella maggiore di Yara, Keba, che è arrivata in tribunale accompagnata da papà Fulvio e da mamma Maura Panarese. “Non ho mai visto Bossetti, né attorno alla palestra, né vicino a casa”, ha detto Keba. “Yara non aveva un diario segreto, aveva soltanto il diario di scuola”, che lei stessa controllava per verificare se la sorella minore facesse i compiti. La 13enne non aveva corteggiatori insistenti o timori. “Se fosse stata preoccupata lo avrei saputo. Se avesse avuto qualche approccio me lo avrebbe detto”, ha sottolineato Keba, che ha ricordato come quella sera ci sia stato un battibecco tra lei e Yara per decidere chi delle due dovesse portare il registratore in palestra.
Davanti alla Corte d’Assise di Bergamo hanno sfilato anche un amico di Yara e Fabrizio Francese, il papà di una compagna di ginnastica ritmica che per ultimo la vide uscire dalla palestra la sera della sua scomparsa e il consulente informatico che ha analizzato i pc di casa Gambirasio e la sim e il lettore mp3 trovati assieme al corpo della ragazzina. Mercoledì 23 settembre si tornerà in aula e verranno sentito il capo della Squadra Mobile di Bergamo Giampolo Bonafini e l’ex capo dei carabinieri del Ros di Brescia Michele Lo Russo, attualmente in servizio a Torino.
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