dal nostro inviato Laura Carcano
Genova, 14 set. (LaPresse) – Nel mondo della ricerca italiana che lamenta ‘la fuga dei cervelli’ si registra una controtendenza, quella dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) di Genova. Fondazione di diritto privato vigilata dal ministero dell’ Istruzione, Università e ricerca e dal ministero dell’Economia, l’Istituto è partito con la sua attività nel 2006 con la costruzione del laboratorio centrale sulla collina di Genova, con circa 30 mila metri quadri di attrezzature dedicate alla ricerca tecnologica, in campi che vanno dalla robotica alla chimica dei materiali, alle nanotecnologie, alle neuroscienze alla scoperta e sviluppo di nuovi farmaci alla microscopia.
Alla direzione scientifica dell’Istituto c’è Roberto Cingolani, nanotecnologo, intervistato da LaPresse. “L’IIT – spiega – conta oggi un organico di oltre 1400 persone, con età media di 34 anni. Il 45% dello staff scientifico proviene da oltre 50 nazioni (17% italiani in rientro). Si tratta quindi sia di italiani che rientrano dopo lunghe permanenze all’estero che di stranieri che decidono di lavorare in Italia”.
Perché questi ‘cervelli’, talenti della ricerca, rientrano nel nostro Paese per andare all’IIT? “La ragione – risponde Cingolani – sta nella qualità del piano scientifico e dei laboratori di IIT, fra i più grandi e interdisciplinari del mondo e i meccanismi di reclutamento di stampo internazionale”.
Nel 2006 è iniziata la ricerca scientifica e nel 2009 l’IIT ha costituito una propria rete di laboratori in Italia e all’estero presso centri universitari con cui ha accordi di collaborazione: 11 sono in Italia e 2 negli Usa in collaborazione con il Mit e Harvard. In tutto 40mila metri quadri di strutture fra Genova e 13 centri satelliti in Italia e all’estero. “La nostra mission – afferma Cingolani – è fare ricerca scientifica a livello internazionale in settori che sono molto vicini all’essere umano e cercare di trasferire questo tipo di tecnologie al mondo della produzione e dell’industria. Nella robotica umanoide lavoriamo su robot sia per l’assistenza in casa che per il supporto agli esseri umani in condizioni estreme. Abbiamo attività che riguardano dei materiali biodegradabili, materiali gentili con l’ambiente. Poi ci sono attività che riguardano le malattie neurodegenerative e che vanno dalla scienza della vita alla salute fino ad applicazioni che riguardano l’intelligenza artificiale, lo studio del cervello in maniera molto interdisciplinare”.
L’idea che guida la ricerca all’IIT parte dal presupposto che l’imitazione tecnologica della natura e dei suoi processi possa fornire soluzione ad alcuni dei principali problemi della società migliorando la qualità della vita dell’uomo e dell’ecosistema. “Il materiale intelligente – sottolinea il direttore scientifico – è progettato per avere funzioni che normalmente madre natura non conferisce. La carta può diventare completamente water proof o può diventare magnetica o antibatterica. E’ un modo di ingegnerizzare la materia per renderla più ‘furba’”.
La differenza per l’IIT la fa la selezione dei ricercatori, con criteri internazionali: “E’ il sistema Tenure track- evidenzia Cingolani -. Tutti i nostri principali investigator sono responsabili della loro attività e autonomi nella gestione del loro budget di ricerca. Vengono valutati nel tempo da panel di esperti esterni, reclutati tramite bandi. E se i risultati sono buoni allora si diventa un permanente dell’ istituzione. Questo consente di attirare molti stranieri. Con una buona infrastruttura di ricerca e regole internazionali di reclutamento, insomma, siamo riusciti facilmente a invertire il problema della fuga dei cervelli”.
“Il ricercatore – aggiunge Cingolani – vuole un laboratorio molto attrezzato e regole chiare di valutazione. I nostri salari hanno una parte che dipende dai risultati ottenuti come, ad esempio, quanto brevettiamo. Queste regole sono riconosciute da quelli che rientrano dall’estero e dagli stranieri come le stesse dei posti dove hanno lavorato fuori dall’Italia. E questo è il motivo per cui abbiamo a lavorare da noi tanti stranieri e quel 17% di italiani rientrati. Sono stati attratti dal nostro istituto perché vi hanno trovato lo stesso humus internazionale”. Cingolani cita dati e cifre: “L’istituto – dice – adesso ha un portafoglio di oltre 300 brevetti. Abbiamo fatto partire nell’ultimo anno e mezzo una dozzina di start up. Fra progetti esterni e industriali abbiamo creato qui 330 posti di lavoro, non pagati da fondi dello Stato, ma da esterni o privati”. Ma come arrivano i finanziatori delle idee targate IIT? “Le aziende non vanno convinte a investire – chiarisce Cingolani – non è una ‘moral suasion’: c’e un dialogo reciproco, molte delle cose che facciamo hanno ricadute tecnologiche industriali importanti. Abbiamo avuto rapporti con più di 200 aziende negli ultimi 5 anni”.
Anche gruppi importanti come la Nikon, operante nella fotografia e ottica, che ha un laboratorio congiunto con I’IIT di Genova per lo sviluppo della microscopia a super risoluzione, con l’obiettivo di realizzare una nuova generazione di strumenti diagnostici non invasivi. “Altre grandi aziende europee e americane – sottolinea Cingolani – stanno facendo la stessa cosa. E ci sono circa 80 piccole medie imprese italiane che hanno con noi collaborazioni”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata