Milano, 16 giu. (LaPresse) – Fino a ieri, insieme ai volontari del Comune di Milano, aiutavano e soccorrevano i migranti in arrivo in Stazione Centrale. E fino a dicembre hanno prestato servizio come autisti soccorritori sulle ambulanze della Croce Rossa. Con un passato da volontari alle spalle, da anni erano gli angeli custodi che vegliavano sui cittadini della Lombardia. Da oggi, invece, non possono più nemmeno accompagnare negli ospedali di Milano i profughi visitati nel presidio medico aperto giovedì scorso da Asl e dal 118 davanti all’ingresso della Stazione Centrale. La ragione? “Ci hanno detto in faccia che, nonostante il nostro stipendio sia pagato ogni mese dalla Croce Rossa nazionale, quindi da Roma, costiamo troppo”, spiegano molti di loro.
Questo è solo l’ultimo di una lunga lista di paradossi creati dal passaggio della Croce Rossa da ente pubblico ad ente di diritto privato. Passaggio che, come stabilito dal governo Monti, dovrà essere completato entro il 2016. Con la conseguenza, come si legge nel decreto legislativo 178 del 2012, che anche i comitati locali e provinciali della Croce Rossa, a partire dal 2014, si sono trasformati associazioni di promozione sociale, con tanto di gestione autonoma, bilanci indipendenti e dipendenti assunti direttamente. Ed è proprio nel contratto firmato da questi soccorritori professionisti che ci sarebbe il risparmio.
Il nuovo accordo prevede 38 ore di lavoro settimanali, a fronte delle 36 ore fissate per i dipendenti pubblici, meno giorni di ferie, turni più lunghi. Chi, nonostante gli anni di precariato e le cause di lavoro vinte, alla fine dello scorso anno si è deciso a firmare, guadagna circa il 30% in meno dei colleghi dipendenti pubblici. “Lo stipendio annuale con i nuovi contratti è di circa 28 mila euro lordi, per chi invece è dipendente pubblico è intorno ai 34 mila euro”, spiega il presidente della Croce Rossa regionale Maurizio Gussoni. Al netto delle tasse, però, chi ha un contratto pubblico guadagna poco più di 1200 euro al mese, mentre chi è assunto direttamente dai comitati locali trai 1000 e i 1100 euro. Una differenza lieve, che però ha importanti ricadute pratiche. Per il momento, Regione Lombardia ha stanziato 56 euro l’ora per l’ambulanza e l’equipaggio di due persone, sempre a disposizione del presidio medico in Centrale. “I rimborsi per le ambulanze sono tarati sullo stipendio” legato ai nuovi contratti, precisa Gussoni, sottolineando che anche “il mezzo presente in stazione è del comitato provinciale di Milano, con dipendenti dello stesso comitato”, che hanno sottoscritto il nuovo accordo. Troppo poco, quindi, per impiegare quegli autisti soccorritori – in Lombardia sono circa 200 – che hanno preferito essere stabilizzati come dipendenti pubblici anche se, come temono, il loro destino è di diventare presto degli “esuberi”.
“Cosa possiamo fare se anche uno stipendio di 10-12 mila euro in meno all’anno è sufficiente per rientrare nei costi o per prendere le convenzioni con gli ospedali?”, si domanda Gussoni. Il problema, infatti, non è circoscritto solo ai migranti, ma riguarda anche i servizi di emergenza e urgenza sul territorio regionale. La Croce Rossa a livello locale ha quasi sempre vinto le convenzioni, della durata di tre anni, con Azienda regionale emergenza urgenza (Areu) per gestire il servizio del 118 e portare i cittadini in ospedale. Dalla fine del 2014, però, queste convenzioni sono state rinnovate con i comitati locali della Croce Rossa, trasformati in associazioni di promozione sociale. Il tentativo, ovviamente, è stato quello di rivedere tutti gli accordi al ribasso e in alcuni casi, come per l’ospedale di Passirana di Rho, ad aggiudicarsi la convenzione non è stata la Croce Rossa. Anche i comitati locali sono stati costretti ad adeguarsi. Molti ex precari che da anni lavoravano sul territorio alla fine hanno firmato il nuovo contratto peggiorativo. Chi non lo ha fatto, invece, è stato costretto a lasciare ambulanza e posto di lavoro e da gennaio scorso è stato destinato al centro regionale della Croce Rossa in via Pucci a Milano. Al loro posto, i comitati locali hanno assunto nuovo personale. “Spesso si tratta di volontari che erano senza lavoro – spiega un autista soccorritore – in alcuni casi, però, chi doveva sostituirci alla guida dei mezzi non ha nemmeno la patente”.
Per chi da gennaio è diventato dipendente pubblico, racconta il presidente regionale Gussoni, si sono dovuti trovare nuovi ruoli e occupazioni. “Sono persone abituate a fare servizio per strada – ha sottolineato – certamente non potevo restare con le mani in mano. Lasciarli senza fare nulla sarebbe stato anche un danno all’Erario”. Così, dopo un mese di incertezza, da febbraio si stanno occupando del ‘soccorso di prossimità’. Il servizio, messo a punto in collaborazione con il Comune di Milano, consiste nel pattugliare a piedi piazza Duomo, la Stazione Centrale e la Stazione Garibaldi, armati solo di guanti, garze e materiale di primo soccorso, per aiutare passanti e viaggiatori in difficoltà. Altri ex autisti di ambulanze sono stati utilizzati invece per prestare servizio nei Centri Diurni, per aiutare i senza tetto o per affiancare al polizia locale nelle attività di sgombero di case occupate. Il tutto a costo zero per Palazzo Marino. “Il carico economico per noi della Croce Rossa invece è piuttosto grave”, ammette il presidente regionale Gussoni. “I turni in stazione e negli altri luoghi di Milano che presidiamo continueranno finché non sarà risolto il problema degli esuberi in Croce Rossa – assicura – anche se non ci fossero i migranti, quelle squadre sono utilissime, perché l’infarto può venire anche ai viaggiatori qualsiasi o ai passanti”. Di diverso avviso chi ogni giorno è sul campo. “Se qualcuno si sente male, dobbiamo anche noi chiamare l’ambulanza – raccontano in tanti – i pazienti ci chiedono qual è il nostro ruolo, qualcuno ci ha anche insultato”. Senza contare che dopo gli interventi, non hanno acqua per lavarsi le mani, ne un bagno per pulirsi se non quelli di bar e locali pubblici che si prestano ad accoglierli.
“Così serviamo a poco o nulla – rincarano la dose – Perché non utilizzare noi, che siamo già stipendiati, per un servizio di soccorso ai migranti e per l’emergenza e urgenza, invece di persone che vengono pagate grazie ai rimborsi regionali?”.
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