Roma, 13 mag. (LaPresse) – La campagna ‘Stop alla tortura’ lanciata a Amnesty International si concentrerà in particolare su cinque paesi dove la tortura è praticata in modo ampio e dove l’organizzazione per i diritti umani ritiene di poter contribuire a cambiare significativamente la situazione. In Messico, il governo sostiene che la tortura sia l’eccezione e non la regola. La realtà, fanno sapere da Amensty, è che è praticata massicciamente e impunemente dalle forze di polizia e di sicurezza.

La giustizia nelle Filippine, fa sapere ancora Amnesty, è fuori dalla portata della maggior parte dei sopravvissuti alla tortura. All’inizio del 2014 è stato scoperto un centro segreto di detenzione dove la polizia torturava i prigionieri per divertimento, usando una roulette lungo i settori della quale erano scritti vari metodi di tortura. Lo scandalo mediatico ha dato vita a un’indagine interna e alcuni agenti di polizia sono stati rimossi dall’incarico. Tuttavia, Amnesty International chiede un’indagine approfondita e imparziale che porti in tribunale tutte le persone coinvolte. La maggior parte degli atti di tortura da parte delle forze di polizia rimane impunita e i sopravvissuti alla tortura restano a soffrire in silenzio.

In Marocco/Sahara Occidentale è raro che le autorità marocchine indaghino sulle denunce di tortura. Le autorità spagnole hanno estradato in Marocco Ali Aarrass nonostante il pericolo che venisse torturato. Arrestato dai servizi di sicurezza, è stato portato in un centro segreto di detenzione dove gli sono state somministrate scariche elettriche sui testicoli, è stato picchiato sulle piante dei piedi ed è stato tenuto appeso per i polsi per lunghe ore. Ha dichiarato di essere stato costretto a ‘confessare’ di aver collaborato con un gruppo terrorista. Sulla base di tale ‘confessione’ è stato condannato a 12 anni di carcere e le sue denunce non sono mai state prese in considerazione.

Le forze di polizia e i militari della Nigeria ricorrono regolarmente alla tortura, denuncia ancora l’associazione. Moses Akatubga è stato arrestato all’età di 16 anni. Lo hanno picchiato e gli hanno sparato a una mano. In una stazione di polizia è stato appeso per gli arti per ore. Sotto tortura, ha “confessato” di aver preso parte a una rapina. Le sue denunce di tortura non sono mai state pienamente indagate. Nel novembre 2013, dopo otto anni di attesa del verdetto, è stato condannato a morte. In Uzbekistan, dove Amnesty International non può entrare, la tortura è pervasiva ma pochi torturatori sono stati portati di fronte alla giustizia. Dilorom Abdukadirova ha trascorso cinque anni in esilio dopo che le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro una manifestazione cui stava partecipando. Rientrata nel paese, è stata arrestata e accusata di tentativo di rovesciare il governo. Al processo, è apparsa in aula emaciata e con cicatrici sul volto. I suoi familiari sono certi che sia stata torturata.

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