Torino, 20 set. (LaPresse) – “Un’analisi polverosa, che usa parole d’ordine antiche e ormai superate, come per esempio ‘centralità operaia’. Attacchi – anch’essi molto datati – al ruolo sindacale e una ricostruzione storica di percorsi carcerari che risalgono agli Anni 70 del secolo scorso, con riferimenti alla Raf tedesca, alle vecchie Br e a Prima Linea. Infine, ragionamenti sul movimento No Tav confusi, poco informati sulla realtà del movimento della Valle di Susa e sulla stessa condizione in cui si trovano i militanti coinvolti nelle inchieste giudiziarie della Procura di Torino”. È questo il primo commento degli inquirenti subalpini – che indagano sulle violenze dell’ala antagonista del movimento No Tav – dopo la prima ma attenta lettura del documento diffuso dal carcere dai due detenuti delle Nuove Brigate Rosse Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi.

Negli ambienti delle forze dell’ordine e giudiziari, infatti, se da una parte non si sminuisce il livello d’attenzione su un ragionamento che proviene da detenuti per reati di terrorismo e che è indirizzato alla frangia più violenta della protesta No Tav, dall’altra si mettono in luce sia le contraddizioni delle analisi sulla lotta della Val di Susa sia addirittura i riferimenti poco credibili alla ‘simpatica consonanza’ tra la condizione carceraria degli autori del documento e i ‘detenuti No Tav’. “In realtà – confida uno degli inquirenti – con le scarcerazioni decise oggi dal giudice del riesame, nessun militante No Tav risulta più in carcere. Dunque, l’ideale collegamento con i detenuti della Val di Susa è del tutto infondato e senza effettiva capacità di aggregazione. Anche la citazione della revoca degli avvocati di fiducia, che pare richiamare l’esperienza del processo al nucleo storico delle Br a Torino negli Anni 70, non ha riscontri. Nessun inquisito No Tav ha mai revocato i propri difensori, con l’unica eccezione di Paolo Maurizio Ferrari che è ricomparso proprio nei cortei e negli scontri della Valle di Susa e che fu proprio uno dei fondatori delle Brigate Rosse”.

Infine, lo sforzo di Davanzo e di Sisi di indicare una solidarietà proletaria tra la loro condizione di detenuti politici e gli arrestati No Tav “mostrerebbe la corda – secondo chi sta ragionando sul documento – là dove gli stessi estensori di questo scritto, dopo aver ragionato sulle proprie condizioni di detenzione e sul parallelo – per quanto riguarda l’isolamento – tra l’art. 90 applicato ai ‘politici’ e l’art. 41 bis usato per i ‘mafiosi’, spiegano che invece chi è stato arrestato per fatti di violenza durante le proteste No Tav era stato inserito nelle strutture ‘comuni’ del carcere”. Così, concludono gli inquirenti, “l’inconsueta espressione ‘simpatica consonanza’ contenuta nel testo, e riletta dopo questa distinzione sul ben diverso trattamento carcerario tra brigatisti in cella e No Tav, appare quasi ridicola e, si potrebbe dire, quasi involontariamente ‘ironica’. Se non fosse che il tono dell’intero documento, noioso, burocratico e polveroso, renda impossibile per chi lo legge qualsiasi riferimento all’ironia”.

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