Roma, 24 mag. (LaPresse) – Diventare vegetariane. E’ questa la prevenzione più efficace del cancro al seno secondo Colin Campbell, studioso americano che ha dato alle stampe due anni fa ‘The China Study’, poderoso volume dedicato all’alimentazione tradotto in una ventina di lingue (edito in Italia da Macro). Dopo la decisione di Angelina Jolie di sottoporsi a una mastectomia preventiva, il tema è finito prepotentemente sotto i riflettori. E sono in molti a criticare quella scelta così drastica. Una delle critiche più circostanziate si può trovare nel libro di Campbell, che insegna Nutrizione biochimica alla Cornell University. “Attualmente – scrive – alle donne ad elevato rischio di cancro al seno vengono offerte tre opzioni: controllare e aspettare, assumere il tamoxifene per il resto della vita o sottoporsi a mastectomia. Dovrebbe essercene una quarta: consumare una dieta priva di cibi di origine animale e a ridotto contenuto di carboidrati raffinati, sostenuta da un monitoraggio regolare per i soggetti a rischio elevato”.
“Una recente pubblicazione scientifica (American Journal of Human Genetics, 2003) – spiega – esaminava ventidue studi di valutazione del rischio di cancro al seno (e alle ovaie) fra donne portatrici dei geni mutati BRCA-1 e BRCA-2. In totale, per le donne portatrici del gene BRCA-1 il rischio di ammalarsi entro i settant’anni per il cancro al seno era pari al 65%, e per il cancro alle ovaie al 39%, mentre per le portatrici del BRCA-2 il rischio era rispettivamente del 45% e dell’11%. Sicuramente le donne portatrici di questi geni corrono un elevato rischio di ammalarsi”. “Dobbiamo tuttavia tener presente – continua – che i geni devono essere espressi per partecipare all’evoluzione della malattia e l’alimentazione può incidere su questo processo”. Inoltre “fare una mammografia o sottoporsi a un test genetico per verificare se si possiedano i geni BRCA non significa attuare la prevenzione del cancro al seno. Lo screening è una semplice osservazione di controllo per verificare se la malattia si sia evoluta fino a diventare osservabile”.
“Medicinali come il tamoxifene e i suoi più recenti analoghi”, invece, “sono considerati farmaci antiestrogeni poiché riducono l’attività dell’estrogeno, che si sa essere associato a un elevato rischio di cancro al seno. Ora la mia domanda è molto semplice: come mai non ci chiediamo anzitutto perché i livelli di estrogeno siano così elevati e, una volta che ne riconosciamo l’origine alimentare, perché non possiamo correggere la causa? Oggi siamo in possesso di informazioni sufficienti a dimostrare che una dieta a basso contenuto di proteine di origine animale e di grassi e ad alto contenuto di cibi naturali di origine vegetale porta a ridurre i livelli di estrogeno. Ma invece di suggerire il cambiamento dietetico come soluzione, spendiamo centinaia di milioni di dollari per sviluppare e pubblicizzare un farmaco che forse sarà efficace (e forse no) ma che quasi sicuramente avrà effetti collaterali indesiderati”.
“La capacità dei fattori dietetici – sottolinea ancora Campbell – di controllare i livelli di ormoni femminili è conosciuta da tempo negli ambienti scientifici, ma una recente ricerca si è rivelata particolarmente degna di nota”. Secondo questa ricerca, pubblicata dal Journal of the National Cancer Institute nel 2003, “parecchi ormoni femminili che aumentano con l’inizio della pubertà sono stati ridotti del 20-30%, e i livelli di progesterone addirittura del 50%, semplicemente facendo seguire per sette anni a un gruppo di ragazze di età compresa fra gli otto e i dieci anni una dieta a contenuto di grassi e di cibi di origine animale moderatamente ridotto”.
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