L'allenatore partenopeo ha parlato alla vigilia della sfida del Maradona contro i biancocelesti
Nel weekend in cui inizia la nuova stagione di Formula 1 il paragone tra il Napoli e i bolidi a quattro ruote risulta più che mai calzante, anche se alla guida della ‘freccia azzurra’ il pilota Luciano Spalletti continua a predicare prudenza: “E’ fondamentale che i tifosi non diano retta a chi vuole farci togliere le mani dal volante, alzandole in segno di vittoria, quando abbiamo tante curve e queste curve possono farci sbandare…”. Secondo il mister toscano “basta un dettaglio per invertire tutto. Nel calcio funziona così”. Uno Spalletti che, ovviamente, punta a tenere alta l’attenzione, anche se davvero non si intravedono ostacoli all’orizzonte per i tiranni del campionato. Però al ‘Maradona’ sbarca uno che l’ambiente partenopeo ben lo conosce, Maurizio Sarri. Meglio, quindi, restare all’erta. Inevitabile un confronto tra le monoposto di ieri e di oggi, quella a trazione sarriana e quella spallettiana. Maurizio “è stato un masaniello calcistico, si è reso capopopolo di una rivolta del modo di vedere il calcio”: questo l’elogio dell’uomo di Certaldo per il ‘comandante’.
“Io a casa sceglievo sempre di vedere il suo Napoli, stavo in piedi ad applaudirlo. Ho preso quello che volevo prendere, quando ho potuto sono andato a vedere le partite. Sui campi di Castelvolturno ancora ci sono le linee di passaggio del suo calcio. Poi, dei paragoni non m’importa”. Anche se i punti di contatto tra i due tecnici non sono pochi: “A entrambi piace stare in tuta, a me anche quando passeggio mi piacciono le scarpette…”, ha sorriso Spalletti. “Poi l’idea di fare la partita, voler comandare il gioco. E’ stato anche un tema nell’ultimo periodo, possesso palla o non possesso palla. Il possesso ti fa decidere dove vuoi giocarla. E’ fondamentale – ha aggiunto l’allenatore del Napoli – saper alternare ritmi e dimensioni del possesso, ma si va in discorsi più profondi”.
Se il ‘manifesto’ di Sarri è stato ‘la grande bellezza’, quello di Spalletti qual è? “Non lo so. Noi dobbiamo avere il coraggio di andare a giocare le partite, ma questo dipende da chi sei, dove vuoi andare, che calcio vuoi fare”, ha proseguito Luciano. “Ci sono davanti sempre delle persone, dipende se stimola di più se diamo le bastonate davanti o comandiamo lì in mezzo. Per me è più stimolante la seconda, a me non piace quando si sta tutti dietro davanti alla difesa, eppure l’ho fatto e ho perso spesso. Io – ha sottolineato – credo che i giocatori siano contenti del calcio che giocano. Poi c’è sempre lo step successivo alla bellezza e alla qualità. Quando sono arrivato, la mia battaglia era riportare gente allo stadio, dare emozione”. Tracciando le differenze, si cela l’avvertimento di Spalletti a Osimhen e soci: “Sarri è più ordinato di me da un punto di vista del modo di stare in campo, praticano un gioco bellissimo. Dobbiamo trovare la finestra dove prendono aria, perché dalla porta non si passa di sicuro, è chiusa a doppia mandata. Loro sono un corpo unico in tutte le cose che fanno”.
Anche il Napoli del +18 però non scherza. Ma il vantaggio “non è una cosa da considerare”, ha avvertito Spalletti. “Noi dobbiamo essere sempre gli stessi, giocarle tutte allo stesso modo, magari anche in 10 come domenica con l’Empoli, con un rispetto totale per l’avversario”. E’ la ricetta che sta conducendo gli azzurri a un meritato scudetto: “Tutti vogliono vincere qualcosa, l’obiettivo è arrivare il più in là possibile, però poi ci sono altre cose che danno soddisfazione“, ha evidenziato il tecnico. “Non sono tra quelli del ‘vincere a tutti i costi’ e poi fallire. A me piace collaborare con la società, con un lavoro che permetta di fare un passo per volta, per arrivare a degli obiettivi comuni nella possibilità del club”. Parole che sanno di volontà di aprire un ciclo con gli azzurri: “Può succedere. Ci sono buone basi, un gruppo forte, sano, roba fresca che può esploderti in mano e durare negli anni. Qui la società è stata brava, Giuntoli bravissimo a scegliere i giocatori. Poi – ha aggiunto – c’è da vedere se la società te li compra o meno, tenendo conto le possibilità che, giustamente, un presidente attento ha come riferimenti”.
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