Le stime parlano di circa 10mila italiani infoibati dalle milizie jugoslave

Primo maggio del 1945: Trieste è pronta a festeggiare la fine di una lunga e dolorosa guerra. Il Comitato di liberazione nazionale ha preso il controllo della città il giorno prima, ma nella mattinata di quel primo giorno di maggio calano dal Carso nel capoluogo giuliano le truppe di Tito. E anche Trieste inizia a vivere sulla sua pelle il genocidio delle foibe, che l'Istria, Fiume e la Dalmazia stavano subendo dal 1943, una strage che si chiuse solo quattro anni più tardi.

Le stime parlano di circa 10mila italiani infoibati dalle milizie jugoslave, in decine di questi pozzi: anni di uccisioni solo per il fatto di essere italiani, che furono la cornice di quello che poi fu l'esodo di 350mila connazionali da quelle terre verso l'Italia. Abbandonando tutto, case, campi, radici, i propri morti, talvolta anche genitori troppo vecchi, da Fiume fuggirono 54mila dei 60mila abitanti, da Pola in 30.000, da Zara, in Dalmazia, in 20 su 21mila (tra cui Ottavio Missoni), da Capodistria in 14mila su 15mila.

Di questi, come ricorda il Comitato per i martiri delle foibe, 80mila si imbarcarono per l'Australia e le Americhe, 100mila furono accolti a Trieste e in tutto il Friuli Venezia Giulia, tantissimi trovarono un primo misero rifugio nelle baracche di 109 campi profughi in tutta Italia, talvolta osteggiati e vilipesi perchè ritenuti fascisti o perchè venivano a 'rubare' casa e lavoro a un'Italia ancora poverissima. "Un capitolo incancellabile, una pagina angosciosa", quella delle foibe nella Venezia Giulia tra il 1943 e il 1947, come ha rimarcato il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che oggi – come ogni 10 febbraio, dal 2004 – è stato commemorato il Giorno del ricordo al Monumento nazionale della foiba di Basovizza, alle spalle di Trieste, capitale morale di questa ancora oggi spesso poco conosciuta pagina di storia.

A Basovizza un vecchio pozzo di miniera dei primi decenni del 1900 nel quale, viene scritto dal Comitato per i martiri delle foibe, "le vittime sono state quantificate con il più arido e crudele dei sistemi: cinquecento metri cubi di poveri resti umani". Oggi alla foiba di Basovizza, spazzata dalla bora, si sono ritrovati in tanti, accanto a circa cinquecento studenti di molte parti d'Italia (da Modena a Seriate/Bergamo, da Lecce a Luino e Bagnoli Irpino/Avellino) e tantissimi cappelli alpini, a ricordare questi fatti: dal sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, alla presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, al ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin, molto commossa per la sua prima visita alla foiba di Basovizza, ricordando che i suoi genitori furono loro esuli, da Pola. "Mio padre riuscì a lasciare la città solo nel 1950, dopo un primo tentativo tre anni prima", ha raccontato, "certe ferite non sono rimarginate", ma il Giorno del ricordo, ha aggiunto, resta occasione per elaborare il passato e guardare al futuro.

"Non ricordare quegli anni vorrebbe dire tradire ancora gli esuli", ha ammonito nel suo intervento il sindaco Dipiazza, "solo dal ricordo di questi drammatici eventi possiamo imparare e ritrovare la giustizia e l'amore per percorrere le vie della pace. Noi tutti, assieme alle future generazioni, abbiamo il dovere e il compito di custodire e dare sempre voce a questi drammatici fatti, affinchè il ricordo non torni più nell'oscurità di un silenzio colpevole".

"Bisogna guardare gli occhi di chi visse quei drammi – ha rimarcato la presidente Serracchiani -, saper leggere nella commozione dei nostri esuli, per intuire l'abisso di dolore che hanno varcato. Qui c'è il vero Giorno del ricordo, nelle vite strappate dalla loro terra e disperse per il mondo, nei nomi degli scomparsi, nelle tombe rimaste abbandonate". Per la presidente della Regione, "le foibe e il disperato esodo che spopolò a più riprese l'Istria, Fiume e la Dalmazia, sono atti di una tragedia che deve ancora entrare nella coscienza popolare della nazione. Per questo le istituzioni devono adoperarsi con più impegno, continuità e coerenza, svolgendo opera di custodia e divulgazione e, ove necessario, condannando tentazioni negazioniste o indebite strumentalizzazioni". 

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata