Per il segretario Pd, in realtà, il bis di Mattarella è sempre stato un sogno nel cassetto, una carta da tenere coperta
“Ecco the winner”. Quando Enrico Letta arriva in Transatlantico per partecipare a quella che sarà la votazione che incoronerà Sergio Mattarella dodicesimo presidente della Repubblica, successore di se stesso, Dario Franceschini apostrofa con queste parole il segretario Pd. Dirigenti e grandi elettori dem hanno la stanchezza di giorni difficili dipinta sui volti, ma la soddisfazione è visibile. E se Walter Verini tira fuori ormai a cuor leggero dalla giacca l’immaginetta di ‘Santo Sergio Mattarella’, Lorenzo Guerini e Andrea Orlando, dopo le tensioni vissute nei giorni scorsi, sorridono rinfrancati. Lo stesso vale per le capogruppo, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, fresche di cambio d’abito per l’incontro al Quirinale con il Capo dello Stato. Quando tutto è ufficiale e Sergio Mattarella viene nominato presidente della Repubblica con 759 voti, in Transatlantico i dem applaudono il segretario e scatta anche la ‘foto ricordo’ con Giuseppe Conte e i capigruppo di M5S e Leu.
Grazie ai “nervi saldi” predicati per giorni, alla fine, in quella che diversi grandi elettori dem arrivano a definire “un’eterogenesi dei fini”, Letta riesce a portare a casa il risultato. Avere Mario Draghi premier e Sergio Mattarella presidente della Repubblica è “per noi la soluzione ideale, la migliore in assoluto”, dice chiaro il leader del Nazareno, che pure nei giorni scorsi ha lavorato alla possibilità Draghi presidente della Repubblica. “Con l’ascesa del presidente del Consiglio al Quirinale e con le difficoltà di questa maggioranza a trovare punti di riferimento – ammette ora – non so se saremmo riusciti a negoziare con i nostri alleati un nuovo primo ministro”. Per il segretario Pd, in realtà, il bis di Mattarella è sempre stato un sogno nel cassetto, una carta da tenere coperta (magari ‘nascosta’ dentro diverse schede bianche strategiche) fino al momento giusto. L’ora ‘x’ scatta nella notte, grazie anche – sottolinea il leader dem guardando anche al futuro – al ruolo svolto da FI. “Bisogna fare il possibile perché la quadratura del cerchio avvenga, dopodichè c’è la saggezza del Parlamento e assecondare la saggezza del Parlamento è democrazia”, dice riunendo i grandi elettori di buon mattino. I contatti con Draghi prima e il tavolo di maggioranza con i leader poi fanno il resto.
Le grane, però, non mancano. Se, infatti, Letta plaude all’unità del partito e al gioco di squadra (nonostante non poche anime interne lavorassero in sordina per la ‘carta’ Casini) è nell’alleanza progressista che si registrano le maggiori fibrillazioni. Il segretario Pd rivendica la ‘tenuta’ della coalizione: “Nel momento più difficile della nostra storia istituzionale abbiamo dimostrato che il campo largo esiste grazie al nostro lavoro faticoso, difficile”, dice, ma ammette che qualche giravolta di troppo degli alleati ha reso “necessari” alcuni chiarimenti. Il riferimento è alla ‘sbandata’ (o presunta tale) del leader M5S sull’ipotesi Frattini e il ritorno dell’asse giallo-verde su Belloni. “Cortocircuito mediatico”, sdrammatizza Letta che reputa “sufficienti” le parole di chiarezza dell’alleato. Se mi fido di Conte? “Sì, mi fido”, replica secco ai cronisti. La geografia politica, comunque, ammette Letta, è in continua evoluzione. Anche, e soprattutto, a destra. Per questo il leader guarda con interesse al percorso di autonomia dai sovranisti intrapreso da FI. “Adesso spero in un dialogo proficuo”, scandisce, rivendicando la “fermezza” messa in campo per stoppare la candidatura di Silvio Berlusconi, ma quasi scusandosi per i toni usati. Il percorso, in ogni caso, è appena iniziato. E il futuro, c’è da scommetterci, dipenderà molto da quali saranno le regole del gioco. La riforma della legge elettorale “deve essere assolutamente in agenda. C’è un nostro interesse a farlo perchè l’attuale credo sia la più brutta che ci sia mai stata”, sottolinea. Roberto Speranza condivide. E se il leader dem preferisce non aprire ufficialmente al proporzionale, è quello il sistema che prediligono M5S, Leu, FI e centristi. “Non è una priorità”, replica Matteo Salvini. L’ultima parte della legislatura da alleati avversari è cominciata.
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