Lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel suo nuovo libro 'La paura di vincere'
La vittoria è in cima ai pensieri di tutti, o quasi tutti gli sportivi. Ma negli anfratti oscuri e spesso dimenticati della interiorità di un atleta si può annidare la paura di vincere. Sono numerosi i casi anche di grandi campioni che, a pochi passi dal traguardo, incespicano, cadono, si bloccano, all’improvviso intrappolati in una resistenza paradossale verso la realizzazione del proprio successo. Si tratta allora di utilizzare stratagemmi terapeutici che facciano cambiare la percezione delle cose e che conducano a sperimentare nuovi punti di vista e nuove reazioni. Di questo parla Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta che vanta collaborazioni con atleti di altissimo livello, tra cui cinque medagliati e due squadre azzurre alle Olimpiadi di Tokyo 2020, nel suo ultimo libro dal titolo appunto ‘La paura di vincere’ in libreria dal 4 giugno.
La paura di vincere
“Nella prestazione individuale la lotta è nella mente, tra l’essere arrivati lì e la paura di vedere cosa succede una volta raggiunto il risultato” ha raccontato a LaPresse il professor Nardone, secondo cui per superare questa situazione serve “un intervento su misura, con tecniche specifiche” per il singolo per un team. “Ad esempio esempio ora sto preparando alcuni team per le Olimpiadi e la dinamica tra i membri diventa fondamentale. Quando ci sono troppi campioni in una squadra sembra che la vittoria debba dipendere solo da loro e non dal team, questo sciupa completamente il gioco”. “Il mio libro tratta dell’aspetto forse più nascosto, subdolo e paradossale, che a volte non viene considerato ovvero la paura di vincere. L’atleta che arriva in finale e poi crolla, la squadra che arriva in finale di Champions e poi gioca come se fosse in prima divisione. Ecco – ha spiegato lo psicologo – l’arenarsi nel momento in cui si è vicini al traguardo. La preparazione mentale è quindi importante, basta vedere il fenomeno Sinner, io stesso seguo alcuni tennisti. Ormai si sa che senza una buona fitness mentale non si riesce a superare se stessi e il proprio limite”. “La paura di vincere è antica, nelle narrazioni letterarie ed epiche emerge spesso l’essere arrivati a un passo dal successo e poi rinunciare. E’ un tratto subdolo della nostra psicologia individuale e di gruppo”, ha spiegato ancora Nardone che tra le sue collaborazioni vanta anche quella con la campionessa di apnea Alessia Zecchini capace di scendere a -120m in apnea e a -101m senza pinne. “Oggi tutti i record non sarebbero raggiungibili senza una preparazione psicologica e la preparazione mentale per un atleta è fondamentale. Non a caso da poco tempo è stato attivato anche un master di psicologia del calcio a Coverciano”, ha ricordato il dottor Nardone. “Il più delle volte il blocco mentale arriva per un eccesso di controllo, mentre si dovrebbe parlare di gestione”, ha spiegato. Anche in questo aspetto si differenzia il campione dall’atleta normale. “La differenza è che i campioni riescono ad imporsi uno stato alterato di coscienza in cui mente e corpo sono all’unisono, uno stato di trance per cui accedono a risorse agli altri impossibili”, ha spiegato.
L’ipnosi tecnica
E a proposito di campioni, ha destato curiosità il metodo dell’ipnosi usato dalla numero 1 del tennis mondiale, la polacca Iga Swiatek, prima delle partite. “L’ipnosi è una delle tecniche che si deve usare, ad esempio per la preparazione di un record. Quando la trance è ben guidata l’atleta vive sia le sensazioni della performance sia quando può sbagliare”, ha spiegato. “Diventa un training correttivo che ti carica da un punto di vista emotivo e di capacità di lasciarsi andare ed entrare in quella che si chiama trance performativa”, ha aggiunto. Secondo il dottor Nardone “l’atleta quando supera se stesso entra in uno stato alterato di coscienza che ti fa accedere a risorse altrimenti non accessibili. Per cui l’autosuggestione fino alla trance ipnotiche sono fondamentali per creare una prestazione straordinaria”. “Di solito viene primo fatto sperimentare sotto la guida di chi è in grado di farti entrare in quello stato alterato di coscienza, poi si insegna all’atleta stesso come entrarci e si lavora proprio sulla prestazione e su cosa fare proprio subito prima della prestazione. E’ uno dei metodi più noti, ma non l’unico”, ha concluso.
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