Roma, 5 dic. (LaPresse) – Da oggi il suo nome è entrato nella storia. Ma certamente non nel modo in cui sognavano gli appassionati delle due ruote, che si erano invaghiti dei suoi modi ‘robotici’, concreti, diretti, schematici ben riassunti dalla sua passione per il modellismo e l’architettura. Da oggi, Danilo Di Luca è il primo ciclista italiano radiato a vita nella storia di questo sport. Un primato del quale il ‘killer di Spoltore’, sua cittadina natale alle porte di Pescara, ovviamente avrebbe fatto a meno e che macchia indelebilmente la sua carriera, scrivendo un’altra pagina nera per lo sport azzurro già falcidiato in passato e tempi recenti da altre ombre. L’abruzzese paga la positività all’Epo riscontrata in un controllo risalente allo scorso 29 aprile, già motivo del suo successivo stop al Giro d’Italia. Non potrà più gareggiare. Sulla decisione del Tribunale Antidoping ha pesato ovviamente la recidività del corridore, già squalificato per tre mesi per le sue frequentazioni con il dottor Carlo Santuccioni e due anni (stop poi ridotto a 15 mesi) per la positività all’Epo-Cera al Giro del 2009.
Proprio sulle strade della corsa rosa, sul cui trono prova già a salire nel 2006, Di Luca, classe 1976, ruba i cuori dell’Italia della bicicletta aggiudicandosi – primo abruzzese e corridore ‘più a Sud’ nella storia – l’edizione del 2007, con due successi di tappa all’attivo, al culmine di una splendida primavera che lo aveva visto trionfare con la Liquigas alla Milano-Torino, alla Coppi-Bartali e nelle classiche delle Ardenne. Esattamente dieci anni dopo aver vinto il Giro riservato agli Under 23, a testimonianza di una carriera in decisa ascesa. Per l’abruzzese però i guai iniziano nell’autunno dello stesso anno, con la condanna a tre mesi per il coinvolgimento nella cosiddetta inchiesta ‘Oil for Drugs’, avviata dai Nas in Toscana nel 2003. Tra i 138 nomi che emergono, anche quello del medico sportivo Santuccione, frequentato dal corridore. Nel febbraio 2008 la Procura antidoping chiede per Di Luca una squalifica di due anni, per i sospetti sul profilo ormonale emersi dopo i controlli post-Zoncolan, ma ad aprile viene assolto dalle accuse dal giudice di ultima istanza del Coni.
Intanto l’abruzzese ha una nuova squadra: la LPR Brakes-Farnese Vini. Al Giro d’Italia del 2009, si presenta con un obiettivo ben chiaro: vincere e cancellare ogni sospetto. Rialzarsi, ancora. Si deve accontentare del secondo posto alle spalle di Menchov. A luglio, altra tegola: viene riscontrata la sua positività al Cera in due diversi controlli, poi confermata dalle contronalisi. Arriva, inevitabilmente, il licenziamento da parte del suo team. Il Tna lo condanna a 2 anni, ma la sua collaborazione con le indagini della procura antidoping gli fruttano uno ‘sconto’ di nove mesi e sette giorni. L’ennesimo tentativo di resurrezione del ‘Killer’ ha i colori del team Katusha, dal quale viene ingaggiato nella stagione 2011. Una parentesi senza squilli. L’anno dopo si trasferisce alla Acqua & Sapone, con la cui maglia si aggiudica due corse minori come Giro d’Austria e Gran Premio Nobili Rubinetterie. Nell’aprile del 2013, la Vini Fantini-Sella Italia decide di dare fiducia all’abruzzese a pochi giorni dal via del Giro. Il resto, ovvero la fine della storia e di una carriera tra le più promettenti del movimento ciclistico azzurro, è ormai noto.
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