L'artista in gara: "Non voglio fare critiche ai direttori artistici del passato, ognuno sceglie in base al proprio gusto"
Diciotto anni dopo quel Sanremo che lo vide trionfare con ‘Ti regalerò una rosa’, Simone Cristicchi ritrova il palco dell’Ariston con un brano struggente, ‘Quando sarai piccola’, dedicato alla madre affetta dall’Alzheimer. Una lettera d’amore filiale e di riconoscenza che porta in riviera un delicato tema sociale, quale è quello della malattia.
“Quest’anno Carlo Conti ha avuto gusto, e un bel coraggio portando dei temi sociali che mancavano forse da un po’ di tempo – ha detto Cristicchi a LaPresse -. Penso alle canzoni di Willie Peyote e di Brunori, oltre alla mia“. Brani che guardano dunque al mondo fuori dall’Ariston, in una edizione che vede comunque primeggiare temi introspettivi e legati all’amore.
A diciannove anni dal suo esordio sanremese nella categoria ‘Giovani’, e a 6 dalla sua ultima partecipazione, Simone Cristicchi si accinge a iniziare dunque il suo sesto Festival, e ha attraversato gli ultimi due decenni mantenendo immutato uno stile ironico e profondo, osservando da vicino i cambiamenti che hanno radicalmente mutato il modo di fare musica, nonché i criteri di selezione dei brani da parte dei direttori artistici. “Il modo di fare musica è cambiato perché oggi è più facile registrare un disco, un album e fare una produzione anche casalinga – spiega -. Quindi tramite computer oggi è molto più facile farsi conoscere e farsi apprezzare dal pubblico o meno. Per quanto riguarda i temi proposti a Sanremo, non voglio fare critiche ai direttori artistici del passato, ognuno sceglie in base al proprio gusto”.
La vigilia del Festival quest’anno coincide con il Giorno del ricordo, in cui si celebrano le vittime delle Foibe. La celebrazione – macchiata da un atto vandalico alla Foiba di Basovizza – offre a Cristicchi l’occasione di tornare a ribadire il suo impegno civile e sociale. “Sono sempre dei piccoli gruppi di persone che manifestano il loro dissenso in maniera scomposta, quindi non c’è da demonizzare un’intera parte politica perché non sarebbe giusto. Ma sicuramente bisognerebbe agire sempre di più sulla conoscenza dei fatti storici realmente accaduti, per realizzare poi una coscienza civile più vasta che possa comprendere anche gli orrendi crimini commessi nel confine orientale dal 1943 in poi”.
E’ suo il musical ‘Magazzino 18’, scritto nel 2013 in collaborazione con Jan Bernas, giornalista e autore del libro ‘Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani’, e dedicato al dramma dell’esodo istriano, giuliano e dalmata nel secondo dopoguerra: “Posso dire per esperienza personale che anche io ho avuto dei problemi legati allo spettacolo ‘Magazzino 18’ – ha aggiunto – che è andato in scena per circa 10 anni e i primi 3 anni c’era la scorta che mi seguiva in teatro e fuori e che sorvegliava che gli spettacoli potessero andare in scena normalmente perché c’erano questi episodi di contestazioni a volte più blande e a volte più violente e quindi hanno deciso la Digos di tutelarmi in quei primi anni”.
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