Tutto è compiuto nel magico mondo di Westeros e sui social è già iniziato l’immancabile diluvio di commenti e recensioni. Una cosa certa: il finale dell’ultima stagione di ‘Game of Thrones’ ('Il Trono di Spade'), andato in onda questa notte in Usa (in Italia l’ha trasmesso in contemporanea Sky Atlantic), l’evento televisivo più importante degli ultimi anni, farà discutere i fan di tutto il mondo per giorni, settimane, mesi. E lascerà dentro di loro un vuoto difficilmente colmabile, perlomeno a breve.
Nei suoi otto anni di vita (ha esordito sull’emittente americana via cavo HBO nell’aprile 2011) la serie fantasy medievale tratta dai romanzi di George R.R. Martin (le prime sei stagioni, perché lo scrittore non ha concluso la saga e gli sceneggiatori sono andati avanti con soggetti inediti), in onda in 170 paesi, ha travalicato i confini televisivi diventando fenomeno di costume e oggetto di culto, conquistando stagione dopo stagione un numero sempre più crescente di appassionati, anche quelli non proprio avvezzi alle storie di cavalieri e draghi. Merito di una scrittura e una messa in scena, premiate con 47 Emmy, capaci di richiamare atmosfere cinematografiche e riportare in vita, sconvolgendone le regole, il genere del fantasy che, dopo il boom del ‘Signore degli anelli’ cinematografico nei primi anni Duemila, sembrava non entusiasmare più le folle.
Invece, l’appassionante lotta per la conquista del trono di spade dei Sette Regni, gli intrighi, i giochi di potere, le lotte, hanno trasformato ‘Game of Thrones’ da iniziale prodotto di nicchia a fenomeno mainstream, facendo breccia nel cuore di un pubblico sempre più vasto: e questo nonostante la morte in serie (perlomeno nelle prime stagioni) dei personaggi più amati, l’incubo di ogni produttore televisivo, e le polemiche per la violenza e l’uso eccessivo delle scene di sesso (sempre nelle prime stagioni). Personaggi, situazioni e modi di dire di 'Game of Thrones' sono entrati nel linguaggio comune (e politico: Trump parafrasò una delle frasi-tormentone della serie, ‘Winter is coming’, per annunciare la nuova entrata in vigore delle sanzioni verso l’Iran) in maniera così potente che anche chi non ha mai visto un episodio difficilmente non saprebbe riconoscere uno dei protagonisti della saga: dalla regina dei draghi Daenerys Targaryen al ‘folletto’ Tyrion Lannister, dall’eroe senza macchia Jon Snow alla giovane Arya Stark.
Inutile sottolineare come l'ottava e ultima stagione avesse creato un’attesa spasmodica. E sarà forse anche per quello che molti spettatori non hanno apprezzato lo sviluppo narrativo scelto dagli sceneggiatori, accusati di aver stravolto la psicologia di alcuni personaggi, di incoerenze con vicende del passato e di ‘affrettare il passo’ verso l’epilogo con brusche accelerate di trama. L’episodio più attaccato è stato il penultimo, ‘The Bells’: dire che ha spaccato il fandom a metà è usare un eufemismo. Tanto che qualcuno ha deciso di passare dai fatti, avviando una petizione rivolta alla HBO affinché riscriva da capo l’ultima stagione. Proposta surreale che ha già raccolto un milione di firme: anche questo, testimonianza del fenomeno che è diventato ‘Game of Thrones’. E c’è da scommettere che anche l’attesissimo finale di stagione, ‘The Iron Throne’ sarà bersaglio di non poche critiche. E le parole di Tyrion ("Nessuno è soddisfatto, il che rappresenta un buon compromesso") appaiono quantomai significative.
Due, in sostanza, erano i nodi ancora da sciogliere: il destino di Daenerys Targaryen, ormai diventata la ‘villain’ della serie dopo aver massacrato con il fuoco del suo drago la popolazione di Approdo del Re (con buona pace dei tanti fan americani che hanno scelto di battezzare le loro figlie con il suo nome) e quale personaggio, finalmente, si sarebbe seduto sull’ambito Trono di Spade. Non pochi si sarebbero aspettati un’ultima, epica battaglia per sciogliere la questione. O comunque qualche trovata ad effetto. Invece, l’episodio finale inserisce ogni tassello al posto giusto a ritmo lento, senza azione, con una chiusura del cerchio avvolta da una lirica tristezza. E la scena-clou, già al centro di molte critiche sui social, è sviluppata in anticlimax: al termine del confronto decisivo è Jon Snow, lasciato un po' in disparte dagli sceneggiatori negli ultimi episodi, ad uccidere la donna che ama nella sala del trono di spade, dopo che lei gli chiede di passare dalla sua parte ("Costruiamo il mondo insieme") e lui prova a rinsavirla dalla sua furia distruttrice. Scena che ha generato all'istante l'hashtag #DragonMotherDies' subito diventato trending topic.
A convincere il tormentato Jon ad eliminare Daenerys è Tyrion, indiscusso mattatore dell’episodio (Peter Dinklage si congeda da pubblico con una performance a dir poco straordinaria e che gli frutterà parecchi premi). “L’amore è la morte dei doveri”, gli ricorda il nano, spiegando a Snow che la regina non si fermerà perché “convinta di essere buona e giusta”, in un discorso dal sapore di manifesto contro dittature e totalitarismi. Peraltro, Tyrion elenca tutte le malefatte compiute in passato da Daenerys: un promemoria destinato forse più agli spettatori che hanno attaccato ferocemente gli autori per la ‘svolta malvagia’ della regina. Compiuto il regicidio Drogon, devastato dal dolore, distrugge il trono con le sue fiamme e vola nel cielo portando con sé il corpo della madre. Ed è ancora Tyrion a suggerire al consiglio dei lord e delle lady di nominare nuovo re Bran Stark, il 'corvo a tre occhi': non potendo il giovane Stark avere figli, si procederà ad eleggere un sovrano ogni volta, instaurando così una sorta di monarchia parlamentare. Bran nomina Tyrion primo cavaliere. Le ultime, emozionanti sequenze, dalle atmosfere squisitamente tolkeniane, seguono le vicende dei restanti membri della casata Stark. Jon, reo di aver ucciso la regina, viene risparmiato ma gli viene imposto di tornare in esilio al Nord, tra i ‘suoi’ Guardiani della Notte. Sansa, forse il personaggio più compiuto della serie, viene incoronata regina del Nord, proclamatosi indipendente rispetto agli altri regni. Arya, la giustiziera del Re della Notte, non torna a casa e decide di partire per le terre inesplorate ai confini di Westeros per dissetare la sua sete di avventura (e lasciare aperta la porta a un possibile spinoff). L’ultima scena è dedicata a Jon, che si avvia verso la Barriera, là dove tutto è cominciato, in un suggestivo richiamo al primo episodio, sulle note struggenti di una rivisitazione del theme song della serie.
Che soddisfi o meno, così finisce l'epico viaggio di una serie capace di lasciare un segno indelebile nell'immaginario collettivo. Il caso ha voluto che negli ultimi giorni sia calato il sipario, dopo ben dodici stagioni, anche su ‘The Bing Bang Theory’, la sit-com più vista dalla tv americana. Altro prodotto che, insieme a 'Game of Thrones', ha rivoluzionato il linguaggio del piccolo schermo e ha iniziato a muovere i primi passi nell’era pre-Netflix, quando la fruizione era prevalentemente catodica. Lo streaming non era ancora strumento di massa come oggi, anche se già insidiava il dominio delle tv generaliste e via cavo, erodendo consistenti fette di spettatori. Ecco perché possiamo dire che in questi giorni, con la chiusura di ‘Game of Thrones’ si è conclusa un’era, sovrastata dall'avvento delle serie disponibili in blocco e del binge watching. Sarà sempre più difficile, nell'era delle maratone tv, per gli autori delle serie del piccolo schermo del futuro riuscire a creare l’evento, costringendo gli spettatori all'attesa. E altrettanto difficilmente ci sarà un'altra serie in grado di eguagliare l'impatto avuto nella cultura popolare da 'Game of Thrones'.

