Milano, 8 dic. (LaPresse) – Se non fosse Fedez, sarebbe Federico Leonardo Lucia. Forse meccanico a Buccinasco, come appare per gioco nelle foto di Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola da domani, mercoledì 9 dicembre, vigilia della finale di X Factor. “Avrei un lavoro normale, umile come umile è la realtà da cui provengo”, dice Fedez. “Ho avuto tantissimo culo, e so che la fortuna potrebbe esaurirsi da un momento all’altro – aggiunge il rapper -. La paura di sparire all’improvviso esiste e io mi preparo. Cerco di accettare nella maniera più sana possibile il mio declino inevitabile. Io so da dove vengo e so dove posso tornare”.

Fedez per ‘Vanity Fair’ posa con la nonna Luciana, “che ancora vive nelle case popolari al Giambellino”, e racconta le sue origini: “Vivevamo in una casa modestissima presa con il mutuo da mio padre. Faceva l’orefice. Con la crisi dell’oro, nel 2001, perse tutto. Il lavoro e anche la sapienza da artigiano, affinata per anni. Si è riciclato come magazziniere. Mia madre invece gestiva l’archivistica di una multinazionale. Scartoffie, documenti, 1.500 euro di stipendio”.

“Buccinasco non è il Bronx, e sa essere molto borghese – spiega il cantante – non mi è mai mancato niente e non mi hanno neanche mai sparato a una gamba. Qui da noi, in Italia, nessuno può vantare le biografie dei rapper americani ed è stato triste ascoltare storie familiari di sofferenza che poi abbiamo scoperto essere completamente false”. “Dei detrattori”, dice, “ho imparato a sbattermene le palle. Con Internet non riesci a dare fattezze umane ai tuoi interlocutori, poi quando li vedi in faccia capisci che non ne vale la pena, ti fanno tenerezza. I maniaci del web e i giornalisti. Del resto non sono mai stato popolare, neanche da adolescente. Stavo sempre per conto mio. Al primo colpo non sto simpatico, non riesco a farmi voler bene né ad affascinare”.

“Ambizioso lo ero, anche a 15 anni” aggiunge. “Magari non c’era l’ambizione di diventare ricco, ma quella di sfogarmi e liberarmi di un’aggressività repressa. Noi siamo una generazione di spiantati. Cresciuti senza radici, senza punti di riferimento”.

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