La patologia, di cui è affetto Alex di 18 mesi, colpisce un nuovo nato su 50.000. I genitori hanno un rischio del 25% di generare un figlio con la malattia

Alessandro Maria Montresor, il bambino di 18 mesi arrivato al Bambino Gesù per sottoporsi a un trapianto di midollo, è affetto da linfoistiocitosi emafagocitica primaria. Un difetto delle cellule del sistema immunitario, incapace di gestire e respingere le infezioni. La patologia – si legge sul sito del Bambino Gesù – colpisce circa 1 nuovo nato su 50.000 (quindi il numero di nuovi casi attesi in Italia è stimabile attorno a una decina l'anno) ed è frequentemente scatenata da un'infezione virale.

Il rapporto tra maschi e femmine è di circa 1:1. È una malattia autosomica recessiva, entrambi i genitori cioè sono portatori sani del gene responsabile della patologia e a ogni fecondazione la coppia ha un rischio del 25% di generare un figlio con la malattia. Dopo anni di ricerche è stato identificato il difetto che causa questa condizione. Si tratta della mancanza di una proteina essenziale per eliminare i virus che attaccano i linfociti: nel 40% dei casi è la perforina, in un altro 30% dei casi è Munc13-4, in casi più rari Syntaxin 11.

Si manifesta nel primo anno di vita nel 70% dei bambini. Solo il 10% dei casi ha un esordio nel periodo neonatale. I sintomi più comuni sono rappresentati da febbre intermittente e da un ingrandimento progressivo di fegato e milza. Sintomi da riferire al sistema nervoso centrale, quali irritabilità, convulsioni, deficit dei nervi cranici, atassia, rigidità nucale e segni aspecifici di ipertensione endocranica, sono diagnosticati nel 75% dei pazienti. In assenza di trattamento, la linfoistiocitosi emofagocitica primaria è rapidamente fatale con una sopravvivenza mediana di circa 2 mesi dall'esordio. nei casi trattati con polichemioterapia e di circa il 70% in quelli curati con trapianto di cellule staminali emopoietiche. Per il trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria non ci sono farmaci approvati.

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